Quando l’Italia ha iniziato a starmi stretta, ho messo il coraggio in valigia e sono partita all’estero. Perchè avevo qualche possibilità, altrimenti non lo avrei mai fatto. La precarietà è già abbastanza diffusa per permettermi il lusso di andare all’avventura.
Con la convinzione radicata che il coraggio viene, primo o poi, premiato, un lavoro lo avevo trovato. Il suono della sveglia era diventato il momento più bello della giornata, ogni giorno mi avrebbe ricordato l’emozione del senso di realizzazione personale che proviena dalla firma di un contratto di lavoro. Certo a molti kilometri di distanza dalla mia terra, che ho sempre amato e difeso. Lei e tutto ciò che porta con sé e che mi appartiene.
Un amore, però, che non è bastato di fronte alla necessità di “trovare lavoro”. Espressione inflazionata nella nostra generazione, in parte vittima di scelte sbagliate ereditate dal passato. Tra le mille conseguenze, potevamo aspettarci di tutto: dalla ormai sdoganata fuga dei cervelli, alla più famigerata quantità di plastica negli oceani al precariato professionale.
Di certo, non avremmo mai immaginato una pandemia perchè eravamo troppo moderni e globalizzati per pensare di poter vivere chiusi in casa per settimane, perchè stavamo andando nella direzione del progresso, della tecnologia, di un mondo sempre più veloce.
Il virus, lo hanno esorcizzato facendoci credere che fosse una normale influenza, forse perchè convinti di un latente senso di invincibilità nei confronti di un pianeta di cui ci credevamo padroni, ma ne siamo ospiti. E adesso forse anche sgraditi. Insomma, per chi lo ha visto, Black Mirror non è una realtà poi così lontana dalla realtà. Scrivo da Zurigo, c’è il sole, tempo ideale per buttare giù qualche personale riflessione su come si vive qui questo sconvolgimento mondiale.
Premesso che, di passaggio o per sempre, questa città mi ha concesso molto facilmente la possibilità di ricostruirmi una dignità professionale, sono rimasta un pò sconvolta dall’assoluto senso di normalità della gente in questo momento storico. Certo la diffusione era ancora molto circoscritta, ma il mondo stava girando in un altro verso e qui sembrava che nessuno se ne accorgesse.
La sensazione di distanza fisica, ma soprattutto emotiva, dall’Italia, che già si sentiva, ha cominciato a imperversare sempre più. E, lavoro a parte, ho cominciato a vivere qui in autoquarantena volontaria integrandomi in questa “filosofia dissociativa” che a primo impatto mi ha fatto quasi paura. Mi bastava ascoltare i racconti telefonici di mia madre, per farmi stringere il cuore al pensiero di scenari di solitudine per le strade del posto in cui sono nata e vissuta. E in tutta quell’incertezza, di una cosa ero sicura: casa mia mi mancava più dell’aria.
Però, pensandoci bene, anche l’Italia inizialmente ha reagito con freddezza e noncuranza. Perchè alla fine, non è questione di sentirsi italiani o svizzeri, ma semplicemente spettatori umani, colti di sorpresa da un fulmine a ciel sereno, spaventati dalla sua imprevedibilità. Ma , poi, dotati della lucidità necessaria per difenderci in un tempo ragionevole, per salvare vite umane, per limitare i danni economici, sociali, politici.
Con il passare dei giorni qui, ho imparato a rispettare ed accettare la diversità e a trarne anche qualche ispirazione. E mi sono commossa quando, chiuse le scuole anche qui, affacciata dal balcone ho visto i bambini disegnare con i gessetti colorati sui marciapiedi. Lì non c’era più nessuna distanza o forse non c’è mai stata, perchè in fondo, ognuno a modo proprio, tutti viviamo la medesima realtà. Abbiamo tutti calpestato la terra senza renderci conto che i desideri fittizi ed egoisti dell’umanità stavano devastando silenziosamente il naturale ecosistema della natura, disturbando il suo delicato equilibrio.
Che sia Italia o Svizzera, tutti abbiamo contribuito a sottomettere arrogantemente la natura e lei ci sta restituendo nient’altro se non “la gabbia” che noi le abbiamo dato, in cui tutti siamo e ci resteremo finchè non capiremo che è necessario cambiare. Severo, ma giusto. E anche se, dopo tutto questo, non ne verremo a capo, sarà la vita ad insegnarcelo perchè niente sarà più come prima.
Personalissimo, opinabile, punto di vista da una fan di Greta Thunberg.