Silenzio. Uno. Due. Tre …. dieci.
Uno. Due. Tre. Quattro … dieci.
Centocinquantotto lenticchie e duecentoventuno chicchi di riso.
Non si sente nulla indossando queste cuffie, solo il proprio respiro e, come nelle grandi conchiglie, il suono del mare. Si è completamente isolati gli uni dagli altri ma seduti a 30 centimetri di distanza e si conta. Si conta il pugno di riso e lenticchie prelevato dalla vasca posta al centro di un tavolo enorme. I conti si tengono su piccoli foglietti bianchi con piccole matite in legno. C’è chi poi i foglietti se li porta a casa per ricordo e chi invece li infila nell’urna apposita, chi rimette chicchi e lenticchie dove li ha prelevati e chi li lascia sul tavolo a formare disegni astratti. Ci è stato chiesto di riporre smartphones, audioguide e tutto ciò che nella frenetica vita quotidiana ci distrae, in un armadietto e indossate le cuffie ci siamo seduti. Per cinque minuti, per quarantacinque, per un’ora.
Siamo al primo piano di Palazzo Strozzi a Firenze. E io come altri visitatori stiamo ricreando una performance: Counting the rice.
Ha aperto da ormai più di un mese, in questa imponente cornice, la prima retrospettiva in Italia dedicata a una dei più grandi artisti contemporanei di fama mondiale: Marina Abramovic. The Cleaner è anche la prima retrospettiva di un’artista donna all’interno del palazzo fiorentino.
In questo viaggio, con la voce dell’artista nelle orecchie, che mi ha portato per tre ore in uno stato di straniamento ovattato, ho attraversato più di cinquanta anni della sua arte. Dai primi anni segnati dalla pittura astratta, alla famosa performance The artist is present, una delle pietre miliari della carriera dell’artista serba.
La visione delle sue performance catturate da fotografie o da una serie di fotogrammi
tendenzialmente in bianco e nero scatenano reazione e emozioni intense. I suoni spesso sono ad un volume elevato e amplificano le sensazioni; capita si confondano anche uno con l’altro creando un ambiente particolare e suggestivo, a volte destabilizzante.
Regina (o nonna come si autodefinisce) della performance art, la Abramovic ha collaborato in prima persona per l’allestimento e la realizzazione di questa esposizione, che è un excursus cronologico del suo operato da artista ma anche della sua evoluzione di persona. Arte e vita come cosa sola. L’arte performativa non è per lei una pièce teatrale, è una trasmissione diretta di energia; maggiore è il pubblico meglio è, la trasmissione è maggiore. Ciò che accade in ogni performance riuscita, secondo Marina, è che ci si ritrova in una dimensione più grande, non ci sono più limiti. Superamento dei limiti fisici e psichici. Volontà. Sperimentazione. Autocontrollo. Resistenza. Sono le basi su cui poggia la sua arte. Sicuramente tra questi, l’elemento che salta all’occhio subito e anche ad uno sguardo superficiale alla mostra è il superamento dei limiti. Rhytm 0, Rest energy, Thomas lips, Balkan Baroque, Imponderabilia ne sono esempi tangibili.
In questa mostra è evidente però che l’artista ha trovato il modo per superare un altro limite, il carattere terribilmente effimero dell’arte performativa. Degli attori sono stati appositamente selezionati per reinterpretare alcune delle sue performance. Per far si che lo spettatore venga coinvolto nuovamente, per dare nuova vita alla sua arte e per far si che non diventi statica e un po’ meno reale e pregnante e si riduca a riproduzioni fotografie e video. Come le opere teatrali scritte da greci e latini possono, a distanza di millenni, essere messe ancora in scena, così anche la sua arte, o l’arte della performance in generale.
Vagare tra le sale dagli alti soffitti e dai muri pesanti, ammirando le opere di quest’artista, pilastro dell’arte dell’ultimo Novecento, non è solo visitare una mostra; è un’esperienza, un viaggio che cattura, disorienta. Si esce avendo la percezione di essere umanamente un po’ meno distanti da quest’artista, che in questo viaggio ci mette a conoscenza della sua interiorità o almeno in parte.
Credo che il risultato sia potente, perché potente è lei e lo è la sua voce di artista.