“Strani giorni, viviamo strani giorni” così cantava Battiato in un suo brano, ed effettivamente è ciò che forse pensiamo un po’ tutti in questo periodo storico, nessuno nato negli ultimi cinquant’anni avrebbe mai immaginato di provare sulla propria pelle una situazione del genere.
È come se fosse una “guerra” dei nostri giorni. Scrivo queste righe anche un po’ confuse in una soleggiata Pavia,il che è molto strano per questa città. Sono un fuori sede anch’io che dopo varie vicissitudini si è stabilito qui nel nord Italia. Sono legato alla mia terra, quella che chiamo casa anche a tanti chilometri di distanza.

La mia “clausura” forzata è iniziata due settimane prima rispetto al resto d’Italia , d’altronde qui si sono verificati i primi focolai di questa epidemia. Le notizie diffuse a mezzo stampa o nei telegiornali purtroppo io le vivevo in prima persona, abito davanti al policlinico San Matteo, ospedale divenuto ormai celebre per la sua battaglia contro il Covid19, le giornate erano scandite dal suono delle sirene e dal rumore degli elicotteri medici che portavano i pazienti continuamente nel nosocomio Pavese. Quando è scattato il lockdown e c’è stata quella fuga di massa dal nord per tornare dai propri cari al sud, non ho reagito allo stesso modo.
Ho deciso di restare, non perché fossi utile qui, ma per difendere i miei cari, per preservare la mia terra, non critico chi ha preso la decisone opposta, non ho la presunzione di giudicare, la paura ed il panico agisce in modi differenti in ognuno di noi.
Per adesso, tra responsabilità e fortuna, le giornate scorrono lente ma non immobili, in buone condizioni fisiche fortunatamente. E sono sufficientemente propositivo. Mi guardo bene dai lamenti ma non posso tenere fuori dalla porta le riflessioni.
Ci siamo riscoperti fragili ed inermi davanti a tutto questo, abbiamo scoperto la solitudine, abbiamo capito,forse, chi sono le persone a cui teniamo veramente.
I nostri problemi precedenti purtroppo non ci hanno abbandonati, penso ad esempio a chi è lontano da un familiare malato, a chi non potrà dare l’ultimo saluto ad una persona cara.
Ecco che mi ritornano in mente le immagini dei militari che in una Bergamo deserta trasferisco le salme divenute troppo numerose per essere accolte nel cimitero della città.
Sono un eterno ottimista e per carattere tendo a trovare il lato positivo anche quando sembra impossibile, ho imparato sulla mia pelle a vivere la solitudine e a non essere schiacciato da essa. Ovviamente anche a me manca la socialità, la vita che vivevamo fino a qualche mese fa, anche quella routine che dopo un po’ stanca.
Faccio mia una riflessione che leggevo in questi giorni

“La domanda fondamentale da farsi in un momento di crisi non è “cosa devo fare”, ma “chi voglio essere”. Ripensare alla propria identità in base alla nuova difficile situazione è la via per trovare le risorse per poi “fare” (con i tempi, i mezzi e gli aiuti adatti). “
Ed è proprio da qui che dovremo ripartite tutti noi una volta che ci saremo messi alle spalle tutto questo. Prendere coscienza che forse avevamo intrapreso la strada sbagliata , che questa gabbia che stiamo vivendo non è altro che quello che noi avevamo tolto a questo pianeta dove siamo ospiti.
Concludo dicendo che non so se sarò una persona migliore o meno alla fine di questo percorso, ma sicuramente vorrò essere una persona diversa e vivere appieno ogni singolo momento che la vita mi offrirà .