SEGNO PARTICOLARE: ARTISTA DELL’INCERTO Intervista a Francesco Capponi

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Nome e cognome?

Francesco Capponi. Talvolta ho pensato di trovarmi un nome d’arte ma da buon indeciso non sono riuscito mai a sceglierne uno.

Alla fine mi sono affezionato al mio e ormai mi ci riconosco.

Segno Particolare?

Non ho certezze, sono un eterno indeciso ma ne faccio un vanto. Mi faccio continuamente domande e non ho mai una risposta certa e immediata, ma grazie alla persistenza del dubbio mi vedo costretto ad indagare tutte le possibilità, cosa che mi permette di andare avanti, di non restare fermo nelle mie convinzioni e di guardare le cose da tutti i punti di vista e trovare nuove soluzioni. Chi ha tante certezze resta ancorato alle sue convinzioni e tende a imporle agli altri, la certezza diventa fede e poi dogma e porta al fondamentalismo ed al totalitarismo, dal dubbio invece nasce la scienza, la filosofia e l’arte. O forse no.

La tua “prima volta”?

Credo che la cosa migliore sia porsi sempre come se fosse la prima volta. Cerco sempre di mettere almeno un elemento nuovo in ogni lavoro che faccio tentando di non cadere nella trappola di autocitarmi, questo mi costringe ad approcciare ad ogni opera sempre come una cosa che non ho mai fatto, regalandomi emozione e costringendomi all’impegno di una “prima volta” perpetua. 


Che cos’è per te l’Arte?

Personalmente per me è una necessità. Almeno per come la vivo. Sento il bisogno di creare, mi rendo conto che se non lo faccio, se tendo a sopprimerlo, se mi concentro esclusivamente su altro, sento salire una sorta di oppressione dentro, avverto la pressione di un qualcosa che chiede di uscire. Rilke consigliava al giovane poeta di interrogarsi nel suo profondo e di domandarsi “devo io scrivere?”, solo se la risposta che arrivava dal cuore era “debbo”, se si fosse sentito morire impedendosi questo bisogno, allora avrebbe dovuto perseguire in ogni modo questo scopo. L’arte per me non è una cosa che voglio fare, ma che debbo fare, quindi seguendo anche io il consiglio di Rilke, mi trovo costretto ad insistere.

Inoltre per me l’arte è anche un gioco, non come lo pensiamo noi adulti, ma un gioco come lo vede un bambino, cioè una cosa per cui ridere, urlare o piangere a dirotto, un esperienza totalizzante che ha la meravigliosa capacità di inventare mondi e farteli apparire più veri del vero. Ed ha pure l’ottimo l’effettocollaterale di essere divertente e di attivarci la dopamina.

Quindi, proprio come un gioco, l’arte è una cosa serissima.

 

Una cosa di cui sei orgoglioso?

Non essermi ancora arreso. Fare arte e provare a vivere di questo in Italia è una cosa molto difficile.

A livello istituzionale e purtroppo anche a livello di percezione da parte dell’opinione pubblica, l’arte in Italia è vista più come un hobby che come un lavoro. “Impara l’arte è mettila da parte” è uno stupido mantra che ci hanno ripetuto fin da bambini, l’arte è un bel passatempo e nulla più, divertiti pure con i tuoi disegnini ma poi vedi di trovarti un lavoro serio. Tale stato di cose si è reso evidente in questo periodo di emergenza, quando sono stati previsti aiuti per i lavoratori la maggior parte di chi lavorava in ambito artistico a diversi livelli è rimasto fuori dai sussidi perché, da sempre, perso in un limbo istituzionale e giuridico che non gli da nessun diritto e nessuna garanzia e che fomenta il lavoro nero forme contrattuali al limite della creatività. Una parte di responsabilità è anche degli artisti che hanno accettato, per sopravvivere, questa situazione marginale senza mai metterla realmente in discussione, non rivendicando mai seriamente il riconoscimento del loro lavoro così da poter affermare con orgoglio di essere “artisti” senza più doverlo dire quasi con una punta di vergogna.

Un’occasione perduta?

Ho vagoni pieni di occasioni perdute, arrivo sempre vicino ma poi mi sembra sempre che mi sfuggano, è una costante della mia vita. Mi guardo indietro e penso che ad ogni bivio ho preso la strada più scomoda, sicuramente la più lunga, ho sfiorato la porta giusta per aprirne all’ultimo momento un’altra. Poi mi dico che se non fosse stato per quegli sbagli di traiettoria, quelle cose perse, forse non sarei quello che sono ora, magari se avessi fatto tutte le scelte giuste avrei perso molte cose, non avrei imparato da quegli sbagli, non avrei conosciuto le persone che amo e che ho incontrato nel cammino e magari ora sarei una persona peggiore, sicuramente non sarei io. Quindi non ci penso, evito i rimpianti, e apprezzo ciò che sono e dove sono, o almeno fingo di farlo.

Una figura che ti inspira?

E’ difficile per me selezionare un’unica figura, come non saprei dirti il mio colore preferito o la mia nota musicale preferita. Provo sempre a guardare le cose nel contesto, gli accostamenti di colori, la sinfonia, quindi anche con le “figure di riferimento” magari apprezzo un singolo lato di una ma non per forza la prendo come ispirazione nel suo complesso, o magari mi inspira solo in relazione ad una particolare situazione o in uno specifico momento.

Quando mi fanno questa domanda però solitamente ho deciso per comodità di rispondere Man Ray, probabilmente perché mi ritrovo nel suo approccio sperimentale, dadaista e ironico all’arte, nel suo sentirsi pittore ma essere famoso più per delle opere tridimensionali e soprattutto essere ricordato quasi esclusivamente come fotografo, cosa che faceva tra l’atro in maniera totalmente libera e innovativa rispetto ai suoi contemporanei.

Scelgo lui però come ho deciso di dire che il mio colore preferito è il giallo perché mi piaceva da bambino e che la mia nota preferita il Sol perché è l’unica di tre lettere, ma sappiamo benissimo che non è sempre così.

Con quale aggettivo descriveresti il tuo lavoro?

Aperto. Ho la straordinaria incapacità di portare a temine una cosa, di chiuderla. Cioè, la porto al suo apice, faccio in modo che tutto torni, cerco di farla maturare e nel momento che potrei partire e farla diventare qualcosa di grande, quando finalmente tutto funziona, mi annoio. Allora cerco un’altra sfida, mi creo un nuovo problema da sciogliere e mi ci metto a lavorare.

Riguardando i miei lavori penso spesso che siano tutti dei bellissimi incipit, avrei potuto per ognuno continuare a lavorarci anni fino a prosciugarlo, ma non ci riesco. Calvino però ci ha dimostrato che volendo si può fare un romanzo anche di soli incipit, per ora forse è quello che faccio.

Francesco Capponi


Perché acquistare una tua opera?

Perché sono un pessimo venditore e perché faccio sempre fatica a separarmi dai miei lavori, quindi, di conseguenza, vista la rarità di mie opere in circolazione, questo le rende un ottimo investimento. A parte gli scherzi penso che una persona dovrebbe acquistare una mia opera semplicemente perché le piace, e io di conseguenza sarei felice di affidargliela sapendo che probabilmente la potrebbe amare più di quanto saprei farlo io. 

Progetti per il futuro?

Devo rispondere alla chiamata di tutte quelle idee che mi sono venute e che sono rimaste ancora irrealizzate, è l’unico modo per liberarmene. Alcune sono là da anni e cercano il momento giusto per uscire, nel frattempo crescono, si completano, ognuna ha un tempo di gestazione diverso, da pochi minuti a qualche decennio. Al momento giusto, spero di trovare un modo per farle nascere tutte.

 

 

Francesco Capponi nasce a Perugia, dove ha studiato scultura all’Accademia delle Belle Arti. La sua produzione è stata spesso contaminata da altri media, in particolare dalla fotografia, soprattutto analogica e sperimentale. Intende la fotografia nel suo senso etimologico di “disegnare con la luce”, cercando di dargli una nuova lettura, che sia allo stesso tempo antica e contemporanea. In questa indagine fotografica rientra fortemente anche la tridimensionalità (diretta conseguenza della formazione come scultore), sia attraverso l’uso e la trasformazione di oggetti, sia mediante la costruzione di mezzi ottici quali macchine fotografiche a foro stenopeico, camere oscure o lanterne magiche. Mescolando tecniche differenti, usando insieme mezzi antichi e attuali, il lavoro di Capponi è un tentativo continuo di creare oggetti fuori dal tempo che incuriosiscano e vadano a toccare il lato onirico e magico nascosto in chi li guarda.

www.francescocapponi.com

Last exhibitions:

“Prospettive dell’infrasottile”a cura di Butik, The Others Art Fair, Ex Ospedale Maria Adelaide, Torino, 2018

“Generation What?” a cura del gruppo curatoriale MaRAC – MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, 2017

“Agibile”, cura di Saverio Verini, Laura Caruso e Ilaria Margutti, Caserma Archeologica, Sansepolcro, 2017