Perché serve un nuovo umanesimo La rinascita dell’idea di comunità dopo i disastri della globalizzazione

Con un editoriale che fotografa la realtà italiana in maniera abbastanza oggettiva il nuovo direttore di Repubblica Carlo Verdelli ha salutato qualche tempo fa i suoi lettori.
Uno dei passaggi che hanno stuzzicato l’interesse di chi scrive è stato l’accento posto sull’avanzata di un nuovo dis-umanesimo.

Da mesi, grazie anche al supporto di letture autorevoli rifletto -anche pubblicamente – sulla necessità di un nuovo umanesimo, che rimetta al centro l’idea di comunità umana.

Viviamo anni difficili.
La scia di rabbia e risentimento lasciati dalla crisi finanziaria iniziata un decennio fa non è sfociata in una rivolta contro il capitalismo finanziario che l’ha generata ma contro le élite in senso largo e in generale contro le forze moderate e progressiste che hanno in molti casi (mal) governato i processi di uscita dalla spirale recessiva prodotta da tale crisi.

Una crisi che ha una forte connotazione culturale e che invece di accrescere la solidarietà tra cittadini ne ha acuito le divisioni e inasprito e radicalizzato la questione identitaria.
In verità forse quella che si sta vivendo è una crisi proprio di natura identitaria. Chi siamo? Cosa stiamo diventando?
Dove vogliamo andare?

Il consumismo esasperato e l’eccesso di pubblicità ha generato incertezza identitaria.
Siamo divisi tra un potere d’acquisto sempre più basso e la percezione di “bisogni indotti”  sempre più (in apparenza) necessari anche se non sempre di beni utili a vivere meglio.

Inoltre la fluidità di genere e l’insicurezza percepita aumentano gli interrogativi.
Mancano le risposte.

È facile allora cercare risposte in discorsi rassicuranti e dialettici, oppositivi del tipo noi/loro.

Più difficile scindere colpe, responsabilità, omissioni e affrontare i problemi contemporanei con adeguata attenzione.

Occorre allora un metodo e forse ancor meglio uno strumento.
Una bussola.

Per liberare la mente da falsi dogmi e vecchie incrostazioni e scegliere in autonomia come e dove orientarsi.

Il primo discrimine può essere quello economico.
Il lavoro va pagato. Ci deve essere un salario orario minimo per legge. Lo stato deve difendere e tutelare i diritti minimi, a prescindere dal colore della pelle.
Chi non ha possibilità di realizzare un reddito deve essere sostenuto nei bisogni essenziali sino a che non sarà in grado di produrlo: la comunità salva.

Il secondo discrimine è culturale.
Le persone più competenti devono guadagnare di più. Chi ha speso tempo e risorse per formarsi ha a disposizione maggiori strumenti di lettura delle situazioni e nella soluzione dei problemi.

Il terzo discrimine è sociale.
Bisogna sostenere coloro che pur non avendone i mezzi finanziari hanno volontà e intenzione di impegnarsi nel percorso formativo e nel lavoro.

Rimettere al centro la persona umana rinvigorisce il senso di comunità.

Gli strumenti digitali da occasione di alienazione o pericolo possono trasformarsi in opportunità.

Non solo mercato ma anche conoscenza, diffusione di saperi e ausilio alla formazione.
In forma sussidiaria e complementare.

Le macchine al servizio dell’uomo.
Diminuendo lo sfruttamento e aumentando la qualità della vita.

Non illudiamoci che non sia possibile: è una scelta politica.
Lavorare tutti, meno, meglio; distribuire la ricchezza più equamente.

Ricominciare a pensare che una vita felice è possibile, dipende dalle nostre scelte.

Come ricorda in un testo Emanuele Felice, l’Umanesimo in Italia dall’incontro per recupero della tradizione greco ellenistica con le innovazioni e le conoscenze provenienti dal mondo islamico e dalla Cina.
Invenzione della stampa e la riforma protestante furono l’occasione per una nuova visione del mondo.

Proprio questo è ciò che manca alle classi dirigenti oggi. Una nuova visione del mondo. Secondo chi scrive al centro di una nuova visione dovrebbe esserci la persona umana.
Nessuna visione autoritaria o totalitaria neanche quella del mercato a tutti costi può essere una soluzione di lungo termine ai problemi che affliggono l’età contemporanea. Bisogna ricominciare dalla centralità delle persone e allora volendo avere un perno su cui fondare questa nuova visione l’unico possibile e l’essere umano.
In armonia con il vivente in tutte le sue forme.
Prima le persone.