La prima compositrice[1] di cui restano le testimonianze scritte è la monaca, filosofa, mistica, magistra dell’abbazia di Rupertsberg, Ildegarda (1098-1179), una voce di donna visionaria dall’anima “sinfonica”. La luce vivente le ordinerà di comporre lo Scivias, una delle opere più importanti della badessa benedettina tedesca e tradotto in Conosci le vie del Signore. L’ultima visione del terzo libro si conclude con una specie di componimento teatrale nel quale le virtù sono personificate e subiscono gli assalti del demonio, un tema che lei stessa riprenderà più tardi nel dramma liturgico intitolato Ordo Virtutum e nella raccolta poetico-musicale di 77 brani intitolata Symphonia armonie celestium revelationum. L’intenzione è sia di natura “celeste”, vale a dire le melodie e i canti sono in lode a Dio, sia di natura pratica perché «nasce per riunire consorelle in una preghiera corale nei momenti di vita comune»[2]. L’analfabetismo musicale che la monaca affermava di possedere – per via del suo udire e trascrivere sonorità provenienti dall’Altissimo – in realtà non le apparteneva fino in fondo, tanto da far supporre agli studiosi e alle studiose l’esistenza di un background conoscitivo di partenza.
In realtà Ildegarda, colei che, già sappiamo, si è definita indocta mulier, di musica non è affatto ignorante più di quanto non lo sia di teologia; fin dall’infanzia ella è cresciuta nell’ascolto dei Salmi di David e dei canti gregoriani dell’Officio e della Messa. Quel canto gregoriano, lingua musicale della liturgia, era ben conosciuto e quotidianamente praticato anche nel convento di Ildegarda[3].
I componimenti sacri medievali, di solito, erano dedicati ai santi patroni; però Ildegarda dedicò i suoi carmina (preghiere e riti religiosi) e le sue antifone (canti eseguiti da due voci in ottava tra loro) non solo alle celebrazioni liturgiche, ma anche all’ispirazione rivelata. Le note, i concetti, le parole, e le immagini fideistiche evocate dalla badessa sono segni di forte argomentazione teologica e filosofica, mentre il canto è un «momento di preghiera collettiva»[4] inserito nella quotidianità monastica. In ambito musicale Ildegarda si avvicina alla polifonia:
In effetti, l’attività musicale e poetica in quest’epoca è intensa, con la creazione di inni polifonici e di canti liturgici, mentre è noto che il canto piano, o canto gregoriano, a lungo attribuito a papa Gregorio Magno, risale al VII secolo. I nomi stessi delle note musicali furono desunti dall’italiano Guittone d’Arezzo da un inno in onore di San Giovanni Battista dell’VIII secolo, Ut queant laxis[5].
Le melodie non si ripetono e non si limitano ad accompagnare i testi, anzi, seguono un ordine ben preciso al fine di trasmettere dei messaggi rivelatori. Una delle vie di accesso alla conoscenza di Dio è il canto, «prerogativa di tutti gli uomini»[6] e le donne in cammino verso la salvezza. Nel dramma Ordo Virtutum composto da 82 melodie in stile per lo più sillabico, il percorso salvifico dell’anima conduce un itinerarium mentis[7] che nella Badessa scavalca la dialettica peccato-pentimento o colpa-redenzione e affonda le sue radici nell’esperienza contemplativa tout court. Se nella Symphonia le finalità sono quelle di «contemplare la beatitudine celeste»[8] allora tutte le altre opere ildegardiane sono «tappe di avvicinamento a questa condizione paradisiaca»[9] psicofisica. L’eclettismo di questo pensiero prende in considerazione lo sguardo medico di Ildegarda secondo cui l’essere umano avrebbe bisogno costantemente di attingere energie dal mondo circostante perché la malattia dipende spesso dalla disarmonia tra l’io e la natura, tra la coscienza e Dio. Di fatto l’Ordo virtutum, al di là del dibattito contemporaneo sulla sua messa in scena, rappresentò una cura dell’animo, un ànemos (soffio vitale) universale che la monaca tentò di estetizzare nell’ascolto del sovrannaturale intersecando la poesia, la musica e le verità teologiche. La sua ars[10] medievale non disgiunta da «una concezione dell’uomo e della donna nella quale lo spirito non è separato dal corpo»[11] persiste nel simbolismo e nelle personificazioni delle virtù. Il coro maschile dei Patriarchi e dei Profeti, poi l’Anima, il Diavolo, il coro femminile delle Virtù Umiltà, Carità, Amore celeste, Vittoria ecc. sono utilizzati nel dramma, in particolare le figure femminili rappresentano «le membra attive del corpo di Cristo, e il Diavolo, unico essere maschile, accentua la diversità fra i due generi»[12]. La virtù della Castità, rispetto alle altre, gioca un ruolo di massimo grado, d’altronde rispecchia la vita monastica della badessa e la sua passione sconfinata per Maria vergine. La monaca di Bingen non è stata l’unica donna “mistica” del Medioevo ad aver pensato al tragitto dell’Anima come il trait d’union tra il cielo divino e la terra contingente, tra il visibile e l’intellegibile, tra la benedizione e il peccato. La filosofa Margherita Porete (1250 o 1260- 1310) nella sua opera omnia rimasta anonima fino al 1946 a causa della condanna di eresia Lo specchio delle anime semplici, immagina un dialogo fra tre personaggi allegorici femminili: Amore (la “dama” esprime sentimenti verso il suo Dio), Anima (la voce implicita di Margherita) e Ragione (la “mediazione” tra discorso razionale calcolante e intelletto intuitivo amoroso, il Logos in quanto comprensione d’amore che agisce nella realtà). Scrive:
Infatti l’Intelletto, che dà luce, mostra per sua natura all’Anima quella che essa ama; e l’Anima, ottenendo dalla luce dell’Intelletto l’appressamento e la congiunzione e, dalla concordia dell’unione nell’amore sovrabbondante (plantureuse amour l’estre ou elle tend pour avoir son assiete et repos) , lo stato a cui tende per avervi la sua sede e la sua pace, ascolta volentieri la Conoscenza e la Luce, che le portano notizie del suo amore; poiché essa viene dall’Amore , e perciò vuole ritornarvi, per non avere che una sola volontà nell’amore, e questa è soltanto la volontà di colui che essa ama[13].
Se l’intelletto è descritto come un lampo di luce penetrante che mostra all’Anima (il Sé) l’essenza dell’Amore, allora l’Io per poter amare come volontà deve porsi in ascolto della Conoscenza, quindi senza la comprensione non si può amare veramente. Successivamente l’Amore conferma la totale autenticità del contatto di Dio sull’Anima perché il sentimento vivifica «non più di quanto si potrebbe costringere il sole a fermarsi, quest’anima può parlare con verità di questa via, riguardo a quello che è»[14] cioè l’Amore verso Dio è esposizione erotica e estatica alla nudità dell’Anima, liquefatta dal tocco divino. Il rapporto laico passionale della filosofa con la fede è forse simile alla carezza poetico-musicale di Ildegarda, irradiante nella sua rappresentazione teatrale tanto è vero che vi sono rimandi alla luce dell’Amore:
Amore ha già sperimentato la splendente luce del ramo in fiore, essa è anzi uno dei fiori del ramo luminoso, e la sua importanza è già stata sottolineata da Ildegarda nella Symphonia; le dedica infatti un’antifona (n.9), ribadendo la pienezza e l’intensità di questa forza della quale Dio creò il mondo[15].
La cornice dottrinale della badessa rievoca matrici boeziane sulla continuità tra la musica cosmica delle sfere celesti, la musica umana e la musica degli strumenti, fra i quali Boezio inseriva anche la voce umana. Cantare è, allora, un modo per riunificarsi all’armonia del cosmo celeste e gli strumenti musicali «sono per natura destinati alla lode di Dio perché le cose esterne ci insegnano la verità su quelle interne»[16]. Senz’altro giungere alla conoscenza di Dio per mezzo della ragione umana “illuminata” non significa assenza di pathos, al contrario è la dedizione che smuove «la rinascita della primavera»[17] rafforzata dalle visioni trascendenti. Si vuol ribadire, beninteso, che gli scritti musicali della monaca sono costellazioni di vita attiva dentro e fuori le mura dei monasteri, non dimenticando il contesto socio-politico di cui fanno parte, ovvero l’atmosfera di rinascita dell’Anno Mille con la costruzione di cattedrali, monasteri e comunità religiose, soprattutto femminili.
A destra Hildegard von Bingen in Liber divinorum operum, Lucca, Biblioteca Statale, ms. 1942, al centro e a sinistra le altre miniature
Dal 1163 al 1174 Ildegarda viaggiò a lungo e intraprese rapporti politici e spirituali al di fuori del suo monastero, portando con sé i suoi lavori e i suoi componimenti sacri. Infine, è lecito chiedere quale sia oggi l’importanza di leggere e approfondire le poesie musicate da una delle prime donne del mondo occidentale riconosciuta nella sua inafferrabilità esistenziale coagulante di interessi plurimi quali teologici, scientifici e musicali. E’ il suo sguardo sul mondo, il suo sentimento cosmologico[1] pari a quello della Divina Commedia dantesca che si spoglia delle umane ricchezze e intravede metafisicamente nel Paradiso l’autenticità dell’Essere e del suo “cuore sanguinante”.
[1] Bruno Cagnoli, pag. 25.
[1] Il titolo fa riferimento a una delle antifone della monaca dedicata alla crocifissione di Cristo https://youtu.be/ZUP3qwM5pbs. Prima di Ildegarda, compose musica la badessa bizantina Kassia di Costantinopoli (810-865). L’invito all’ascolto: https://youtu.be/ioWWIiG_sHc.
[2] Ildegarda di Bingen, Carmina. Symphonia harmonie celestium revelationum, a cura di Maria Emanuela Tabaglio, Gabrielli Editori, Verona 2014, pag. 23.
[3] Bruno Cagnoli, Misticismo, poesia e musica in Hildegard von Bingen (1098-1179), saggio presente negli Atti dell’Accademia Roveretana Agiati, a. 258, ser. VIII, vol. VIII, A, fasc. II, 2008, pag. 19.
[4] Ivi. pag. 65.
[5] Régine Pernoud, Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano, 1983, pag. 50.
[6] Maria Emanuela Tabaglio, Carmina, pag. 74.
[7] Ildegarda di Bingen, Ordo virtutum. Il cammino di Anima verso la salvezza, a cura di Maria Tabaglio, Il Segno dei Gabrielli editori, Verona, 1999, pag. 17.
[8] Ivi, pag. 52.
[9] Ibidem.
[10] «Come ragione e filosofia anche le artes non sono più di aiuto quando l’anima si accosta al mistero centrale della sua fede. Allo stesso modo il canto del poeta, come la fabbrica dell’architetto, e, perché no, la Summa del filosofo devono andare oltre il fondamento razionale delle loro artes per raggiungere una bellezza che nasce nei loro cuori e non può essere dettata da un sistema di regole» (Nino Pirrotta, Musica tra Medioevo e Rinascimento, Einaudi, Torino, 1984, pag. 36).
[11] Jacques Le Goff, Il corpo nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 2005, pag. 51 (nella versione digitalizzata).
[12] Ordo virtutum, Introduzione Tabaglio, pp. 61-62.
[13] Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici, ed. San Paolo, trad. Giovanna Fozzer, Roma, 1994, pag. 183.
[14] Ivi, pag. 335.
[15] Ordo virtutum, Introduzione Tabaglio, pag. 71.
[16] Petra Guggisberg, Il fuoco creativo di Hildegard von Bingen: il simbolismo delle sue visioni, la musica, le cure, Associazione “il Portale”, Città della Pieve, 1999, pag. 23.
[17] Claudia Salvatori, Ildegarda badessa visionaria esorcista, Milano, Mondadori, 2004, pp. 7-8.