Nel nostro mondo emotivo, dove spesso si supera apparentemente l’oggettività dell’osservazione del reale, ci si avventura in una soggettività fatta di simboli, materia e casualità.
Viaggiamo in spazi e tempi fatti di astrazioni che si concretizzano con l’immaginazione. Come se ci fosse un nesso tra uomo e mondo, tra psiche e materia. Un’idea tanto cara agli alchimisti che, superate le antiche reticenze, acquista valore e credibilità negli studi contemporanei: l’immaginazione, in determinate circostanze, crea effetti corporei. Se ci troviamo davanti materia animata o inanimata e ci abbandoniamo al suo racconto, per una strana coincidenza, tutte le conformazioni imitano quelle di certi dipinti contemporanei o delle più antiche pitture rupestri. In questo processo, la somiglianza tra le forme trovate e quelle che già appartengono al nostro immaginario è impressionante: la figura prodotta dalla psiche traspone le sue sembianze nella materia in maniera del tutto naturale. Un pensiero rivolto a chi, spinto da una voce interiore, non si limita alla superficie, ma è disposto ad esplorare l’essenza delle cose, penetrando profondamente dentro se stessi. Ecco che, l’uso di metafore e simboli, diventano una chiave per aprire le porte a qualcosa che è più antico di noi e che si svela nel viaggio attraverso l’astrazione. In altre parole, le immagini che abbiamo davanti nascondono segreti esplorabili solo se associati alla fantasia, alle paure, alle emozioni e all’esperienza di chi guarda. Quando l’inconscio viene fuori la nostra mente ci riconduce a simboli personali, ecco quindi che di fronte alle stesse figure vediamo infiniti mondi. Un viaggio nell’invisibile reso visibile attraverso frammenti di realtà apparentemente oggettiva, ci troviamo ai confini più profondi e nascosti della nostra psiche, dove, la ricerca dell’Armonia, secondo la predestinazione umana, passa attraverso Oscurità e Luce. Il procedimento fotografico può essere riassunto, simbolicamente (ma anche in pratica), in un cammino verso la luce. “Fotografia” etimologicamente indica proprio la possibilità di esprimersi attraverso la luce. La luce è necessaria perché senza di essa non ci sarebbe immagine, la chimica lo è perché, senza, non la si potrebbe fermare.
Così la fotografia viene in qualche modo a coincidere con un processo alchemico. Storicamente i legami tra fotografia e alchimia sono intuitivamente evidenti: “solve et coagula”, nella nascita di un’immagine c’è una fase di contatto con il soggetto, una sua distruzione ed elaborazione ed infine la sua rinascita nella stampa. Dobbiamo ammettere che ogni immagine che produciamo è, in qualche modo, un nostro autoritratto; così possiamo dire che ogniqualvolta è una parte di noi ad essere distrutta, elaborata ed a nascere di nuovo.
Mi hanno sempre interessato tutti i sistemi atti a produrre immagini; ma quello che ha sempre attirato di più il mio interesse è stato quello fotochimico.
A volte penso al suo significato simbolico: il sistema fotochimico (o se vogliamo quello fotografico) è l’unico in cui dall’immagine finale deve essere sempre allontanato ciò che la ha generata. Ancora di più i prodotti chimici cui deve la sua nascita, se non allontanati, diventerebbero la causa della sua degenerazione.
Vi sono poi procedimenti che presentano strane e significative concordanze e rassomiglianze con il processo alchemico.
Nella comune tecnica della fotografia a colori ad esempio c’è una prima fase in cui la pellicola annerisce completamente che può essere assimilata alla alchemica “nigredo”, una seconda fase chiamata comunemente “sbianca”, cioè “albedo” ed una terza fase che è quella in cui appaiono i colori nella loro forma definitiva che potremmo identificare con la “rubedo”.
Da notare che i colori che appaiono e si rivelano alla fine del procedimento si sono formati proprio nella fase “oscura” dello sviluppo, quasi a significare che forse sono proprio le fasi più oscure quelle più determinanti e produttive.
Nessuno di noi è mai solo ed il nostro lavoro, anche quando sembra nostra esclusiva e solitaria creazione, poggia sempre su quello, spesso silenzioso, di altri.
Spesso mi domando se alcune immagini siano proprio opera mia; penso piuttosto che le nostre opere non siano altro che l’espressione di un’altra realtà e che il nostro compito sia quello di portarle alla luce.
Come l’alchimia quindi, la fotografia ha molto a che fare con la scena psichica, rimesta le profondità dell’anima umana: un esercizio di analisi emotiva con l’effetto di benzodiazepine visuali.