Sezione Italia: Maria Varriale e l’Associazione del Real Bosco di Capodimonte Un’intervista

Quando e come hai iniziato ad occuparti di cultura?

Ho cominciato all’università, se ci riferiamo a una partecipazione attiva. Durante gli anni di studio, infatti, ho avuto la fortuna di far parte del Collettivo universitario, che si è dedicato all’allestimento di mostre, a concorsi letterari e al cineforum. Proprio di quest’ultimo mi sono occupata insieme ad altra due studentesse, in qualità di coordinatrice delle proiezioni, e del relativo dibattito a fine proiezioni. Fondamentali, sempre durante gli anni universitari gli incontri con alcuni docenti: il mio Maestro, il Professore Stefano Causa e la Prof.ssa Maria Antonella Fusco, correlatrice della mia tesi. Il prof Causa mi ha insegnato la strategia dell’attenzione, che ora stride con quella della disattenzione, a non dare mai nulla per scontato, a parlare in pubblico, a guardare la realtà da un punto di vista differente, a non concepire gli artisti come delle monadi senza finestre, ma ad inserirli in una contemporaneità che li pone uno di fronte all’altro, in connessione e confronto, a calarli in un contesto storico: che deve essere sempre la prima tappa del percorso di studio. Il corso di Didattica museale della prof.ssa Fusco è stato il vero trampolino di lancio: una sorta  storytelling ante litteram, quando il termine non era ancora abusato. Il saper raccontare i luoghi, i fatti, i manufatti, i protagonisti e i comprimari. Ho cominciato così, e su questo lavoro quotidianamente.

Maria Varriale durante la visita guidata dedicata alle Quattro Giornate di Napoli a Capodimonte, 8 settembre 2018.

Perché hai scelto questo ambito?

Sono nata e cresciuta in un contesto culturalmente stimolante, l’amore per i libri mi è stato trasmesso da mia madre, alcuni viaggi hanno consolidato il bisogno di conoscenza e confronto con  realtà differenti. Ho l’abitudine di camminare molto, e in queste passeggiate “tocco” tutto con gli occhi, poi con le mani: un bisogno irrefrenabile di sentire la consistenza delle cose, dei materiali: la porosità del tufo, la voluttà di un fiore dischiuso fatto di marmo, i taglienti contorni di una cancellata in bronzo dorato.  Procedo così. La scelta? Beh, è nata dalle incursioni al Museo di Capodimonte, fin da bambina. Ho frequentato la palestra dei miei occhi ancor prima di intraprendere gli studi universitari. Passeggiando in quelle sale, con il mio incedere incerto, ho percepito dentro di me, già da adolescente, l’urgenza indomita della conoscenza: scoprire  l’identità delle persone effigiate, le vicende storiche raffigurate, il percorso umano ed artistico dei pittori.

In una dedica vergata a mano, su uno dei suoi libri, il mio Maestro ha scritto: “A Maria, che conosce la vita segreta delle cose e non ne ha paura”. La vita segreta delle cose appunto. Intraprendere il percorso tortuoso ed eccitante che fa nascere in noi le domande che necessitano di una risposta, per  poi rimescolare le carte e riprendere il viaggio. La curiosità è il motore di tutto. Il passo successivo e naturale è stato quello di condividere con gli altri quanto scoperto e amato. Da tutto questo prende le fila il mio percorso professionale nell’ambito dell’associazionismo culturale.

Medaglia Civica per i laboratori svolti nel Real bosco di Capodimonte dall’Associazione Amici del Real Bosco di Capodimonte. In foto, l’Arch. Sara Cucciolito, Project Manager dell’Associazione, Maria Varriale, Presidente dell’Associazione, Sylvain Bellenger, Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, prof. Carlo Verde, Vicepresidente dell’Associazione.

Che cos’è Amici del Real Bosco di Capodimonte e quali sono i suoi obiettivi?

L’associazione Amici del Real Bosco di Capodimonte è nata nel 20016 per volontà del Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sylvain Bellenger, con lo scopo di contribuire alla tutela e alla valorizzazione del Real Bosco e del suo contesto sociale e culturale. L’Associazione, composta da figure professionali residenti a Capodimonte con competenze e conoscenze specialistiche relativamente alla storia della città e del territorio, opera nel settore dei Beni Culturali e Ambientali, partecipando alla promozione di diversi eventi in collaborazione con enti, scuole, e musei. Attraverso visite guidate gratuite, in collaborazione con esperti del settore, ed eventi di rievocazione storica supportati da enti pubblici e privati, i volontari dell’associazione  divulgano la memoria e le tradizioni della collina di Capodimonte, in un arco temporale che si dipana dal ‘700 ai drammatici eventi della Seconda Guerra Mondiale. Nell’ultimo anno e mezzo si è principalmente occupata di didattica, proponendo, su richiesta della Direzione di Capodimonte, una serie di laboratori gratuiti destinati ai bambini: laboratori di botanica, di paesaggio, reading interattivi e laboratori di riciclo creativo.

 

Di che cosa ha bisogno il mondo della cultura per ripartire?

Ne “Le lezioni americane” Calvino ci invita a diventare “enciclopedici aperti”, in virtù del fatto che l’enciclopedia presuppone un percorso ciclico, chiuso; di contro, il ciclico “aperto” ti permette di sondare sentieri poco battuti che potrebbero  rivelarsi illuminanti e determinanti per il processo di crescita personale. In questa fase di temporanea sospensione, anch’io ho sperimentato nuove opportunità di confronto e contatto culturale. Per anni ho demonizzato l’ingerente presenza del digitale nel mondo della cultura, ma mi sono ravveduta dopo averne appurato i vantaggi. Negli ultimi due mesi, ho partecipato a lezioni in remoto, ho seguito corsi di aggiornamento, ho ascoltato concerti, conferenze, presentazioni di libri, ho passeggiato virtualmente nelle sale dei musei temporaneamente chiusi. In sintesi, ho dato libero sfogo ai miei interessi e grande spazio al mio lavoro, con il vantaggio di goderne comodamente da casa, al contempo con  lo svantaggio di non condividerlo con gli altri, lo svantaggio di non guardare i volti delle persone. Ho avuto la netta sensazione di aprire gli occhi su un mondo ricco di opportunità, ma che a un certo punto, nel momento cruciale, spegne l’interruttore. Il buio generato dalle webcam oscurate crea spaesamento e distacco. Auspico a una ripartenza che possa far dialogare le consolidate  modalità di incontro con le nuove sperimentazioni; il supporto tecnologico deve essere un arricchimento, un approfondimento, però che non dovrà mai  soppiantare il contatto diretto con le cose, tra le persone.

Ciclo di conferenze “San Gennaro Patrono delle arti”, presso la Cappella del Tesoro di San Gennaro, 16 maggio 2017. In foto, il coordinatore delle conferenze, il prof. Stefano Causa e Maria Varriale, relatrice con un contributo intitolato “L’effimero stabile. Fiori e fusti di marmo per la gloria del santo”. Il saggio è stato pubblicato nel dicembre dello stesso anno.

Come immagini il futuro?

Mai come in questa fase storica, è veramente complicato immaginare come sarà il futuro, e mi riferisco non a come sarà il mondo da cui a cinque anni, ma addirittura risulta difficoltoso immaginarlo da qui a pochi mesi. Il mio settore è tra quelli che risentiranno pesantemente degli effetti della pandemia. Si prevedono tempi dilatati per un ritorno alla normalità, e in questa fase transitoria saremo costretti a rivedere, temporaneamente, gran parte delle nostre abitudini. Penso a quanto sarà strano entrare in una sala di un museo indossando mascherine e rispettando le norme di distanziamento, mentre fino a poco tempo era quasi scontato trovarsi nella bolgia dei visitatori, nei più importanti musei italiani.  So con certezza che tutto  questo sarà transitorio, e nell’attesa di tornare in prima linea, sto lavorando a nuovi percorsi e a nuovi approfondimenti professionali.

 

Un consiglio ai più giovani?

Non credo di essere in grado di elargire consigli, di solito sono mal posti o mal visti. Mi capita spesso di confrontarmi con i giovani, mi diverte entrare nel loro mondo, mi incuriosisce il loro approccio alle cose. Proprio grazie al confronto diretto, ho notato che spesso non sfruttano al meglio tutte le possibilità di apprendimento che hanno a disposizione. Consiglio di intraprendere viaggi di studio all’estero già dalle scuole superiori, di essere lungimiranti riguardo la scelta degli studi universitari, con un occhio attento alle richieste del mercato lavorativo.  Il mio invito è quello di non sovrapporre il web al proprio cervello. Mi spiego meglio, facendo un esempio che mi riguarda. Durante la preparazione degli esami universitari, nonostante la presenza a casa di testi e monografie, il mio studio si è svolto prevalentemente in biblioteca, per consultare cataloghi e schede, di scarsa reperibilità, attenendomi agli orari di apertura. Oggi gli studenti che studiano Storia dell’Arte, e non solo quelli, con un semplice click possono accedere al corpus completo di Raffaello Sanzio ad altissima risoluzione. Una cosa inimmaginabile ai miei tempi, un’opportunità che apre scenari molto vantaggiosi. E qui veniamo al nocciolo della questione: non avendo a disposizione questo vantaggio, ho allenato quotidianamente gli occhi (e ancora lo faccio) con l’attenta osservazione dei dettagli e dell’insieme di un manufatto. Il mio timore è  che l’arte “a portata di mano” possa impigrire lo sguardo e non invogliare gli studenti all’osservazione diretta delle opere nei musei. Posso estendere questo timore a tutte le branche del sapere. Occorre sfruttare a nostro vantaggio le tecnologie, ma occorre anche rimettersi in cammino e riconquistare con fatica il sapere. Occorre riappropiarsi dello stupore che dà la conoscenza, delle scoperte inaspettate, delle folgorazioni.

 

Rievocazione storica delle Quattro Giornate di Napoli nel Real Bosco di Capodimonte, 30 settembre 2018.

Un libro che tutti dovremmo leggere?

Eh, qui la situazione si complica. Il libro più importante della mia vita è senza dubbio Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, un libro che consta di sette volumi, un testo compenetrato alla mia esistenza, e di cui rileggo spesso alcuni stralci, quasi sempre gli stessi. E’ il libro che consiglio sempre a tutti, ma cui da tutti rifuggono: un timore reverenziale permea la figura dell’autore. Leggere non è un passatempo, devi farti le ossa e rischiare anche di lasciarci le penne, in alcuni casi. Esistono libri che possono travolgerci, dilaniarci, sospingerci altrove e cambiare completamente il nostro modo di vedere le cose,  poi tocca tornare alla realtà e tentare di viverla nel migliore modo possibile. Qualche anno fa ho ascoltato un’intervista al compianto Maestro Ermanno Olmi, bibliofilo di lungo corso, che a un certo punto ha detto: “ Per tutta la vita, ci siamo circondati di libri, ci siamo trincerati dietro i libri, pensando di essere al sicuro, e invece (i libri) non ci hanno mai difesi”. Ricordo di aver guardato a lungo lo schermo con l’immagine del volto commosso di Olmi, pensando avesse ragione, e a distanza di anni, non ho cambiato idea.

Forse più che consigliare il libro che tutti dovemmo leggere, posso raccontare quello da cui è partito tutto. Nell’estate del ’90, mia madre mia ha regalato L’isola di Arturo di Elsa Morante, dichiarando chiusa e sepolta la stagione delle letture infantili. Quello è stato il passaggio dall’infanzia alla vita adulta, e non ho più smesso di leggere e di lanciarmi nei toni crudi dell’esistenza.  A  monito di questo battesimo letterario, la poesia con dedica con cui si apre il libro della Morante:

“E tu non saprai la legge

ch’io, come tanti, imparo,

e a me ha spezzato il cuore:

fuori del limbo non v’è eliso”.

Nell’estate del ’90 quel regalo ha sancito il passaggio dalla mia preistoria infantile verso la storia e la coscienza, perché, come detto, “Fuori del limbo non v’è eliso” ed è già pronta l’età della disillusione e della delusione. Un’ultima cosa però voglio dirla, una sorta di consiglio vero, stavolta. Ho l’abitudine da decenni di cominciare la giornata o terminarla leggendo una poesia. Ecco, mi piacerebbe che le persone leggessero e amassero di più i poeti, mi piacerebbe intravedere sui comodini più libri dedicati ai versi di Tibullo e Properzio o di qualsiasi poeta  amato, a cui affidare gli ultimi o i primi pensieri delle nostre giornate.

 

 

Nata a Napoli, il 12 marzo del 1979, residente nel ridente quartiere napoletano di Capodimonte. Dopo il diploma liceale ha intrapreso gli studi universitari laureandosi con lode in Conservazione dei Beni Culturali e in Storia dell’Arte, con due tesi di Arte Contemporanea. Durante gli anni di studio, ha lavorato presso il proprio ateneo come referente dell’Ufficio Orientamento della Facoltà di Lettere. Dopo la laurea e un tirocinio presso i Servizi Educativi del Museo di Capodimonte, ha cominciato la sua esperienza lavorativa nell’ambito dell’associazionismo culturale. Nel 2017 è stata tra le relatrici del ciclo di conferenze organizzato annualmente dalla Deputazione del Tesoro di San Gennaro, con relativa pubblicazione del suo intervento dedicato alla Guglia di San Gennaro.  Dal 2018 è Presidente dell’Associazione Amici del Real Bosco di Capodimonte. Nel settembre dello stesso anno, la sua associazione, in collaborazione con la Direzione di Capodimonte e l’Aeronautica Militare Italiana, ha organizzato la prima rievocazione storica delle Quattro Giornate di Napoli a Capodimonte, con automezzi e divise d’epoca. Nel mese di giugno del 2019, l’associazione ha ricevuto una Medaglia Civica dall’Associazione Premio GreenCare per le attività laboratoriali destinate ai bambini, svolte nel Real Bosco di Capodimonte.