Quando parliamo di uomini è sempre bene considerare il fatto che il tempo è solo un fattore di poca rilevanza.
Da sempre e per sempre l’uomo si sentirà in diritto di puntare il dito contro, di essere un tuttologo, su questo non ci piove.
E sapete perché?
Perché così facendo, sposta l’attenzione da sé, e quindi dai suoi punti morti e di debolezza, all’altro e, secondo lui, scala una fantomatica classifica che gli consente di esser visto di buon grado da chi lo ascolta.
Manca una premessa: chi lo ascolta dovrebbe essere senza orecchie, senza capacità di comprendere, un suo pari dunque un altro “uomo medio”.
Così si delineano la maggior parte dei discorsi da bar, da piazza, da ritrovo che animano i bollenti spiriti dei battaglieri nostrani d’ogni giorno.
Gli argomenti, come d’obbligo, sono d’attualità, quelli dei telegiornali, per intenderci.
Da comodissime poltrone, su candide panchine, sotto ombrelloni da spiaggia o da bar, crogiolandosi al sole oppure, udite udite l’evoluzione, tramite messaggi vocali (questa è un po’ più sottile e riguarda principalmente la nuova generazione di “donne-comari” alle prese con le nuove forme di pettegolezzo 2.0) gli uomini ascoltano (parolone) i telegiornali, leggono qualche notizia sui social e sono pronti al loro pubblico comizio.
Qualcuno diceva, a buona ragione, che l’informazione è nemica della cultura.
Come dare torto?
Se una persona crede di conoscere, crede di avere una propria cultura (dal lat. cultura, der. di colĕre «coltivare», copia incolla dalla Treccani) grazie alle esperienze di vita e grazie a qualche notizia presa qua e là tra tv, cellulare ed affini, siamo davvero fuori pista, proprio perché non c’è nulla di coltivato.
Telegiornali e social se non compresi nel senso chiave del loro fine ultimo, cioè informare su quel che vogliono loro e nel modo in cui decidono loro, esattamente il modo in cui non li comprende la maggior parte delle persone, creano dei guasti e questi guasti portano tali super uomini-ominidi a sentirsi cultori della materia al punto tale da spalancare la bocca e dare vita alle loro esposizioni.
Queste esposizioni sono basate, come detto, sul denigrare l’altro, chiunque esso sia.
Dal presidente del consiglio al sindaco, all’assessore, al responsabile principale di una qualsiasi opera o iniziativa sino all’altro inteso come chiunque altro che, in quanto diverso da loro, ha qualche interesse nella vita che va al di là delle semplici chiacchiere, al di là dei fatti altrui, al di là del pettegolezzo politico e d’ogni giorno.
La questione è semplice: chi ha obiettivi e principi chiari nella propria vita non si accorge dell’esistenza degli altri.
Chi della propria vita non sa che farsene, ha bisogno di proiettare le sue mancanze sull’altro per tirar fuori qualcosa dal cilindro (bucato) che si ritrova.
Soprattutto, quando si fanno delle supposizioni sull’altro si dimentica la visione Schopenhaueriana sul soggetto:
“Il soggetto è quell’essere che tutto conosce e da nessuno è conosciuto”
(da “Il mondo come volontà e rappresentazione” libro secondo,
A. Schopenhauer).
In questo caso il nostro soggetto crede di conoscere tutto. Nello specifico, in tale convinzione, dimentica che il vero soggetto, quindi l’altro, da nessuno è conosciuto.
Risulta difficile, per chi non può pensare, sia recuperare l’individualità, ed essere quindi riservato, sia conoscere, dal momento che ogni uomo ha sempre bisogno di proiezioni sull’altro, ha sempre bisogno dell’altro quando dovrebbe aver bisogno d’altro.
E quante visioni ha il mondo di noi? Ma quante di queste corrispondono a realtà se nemmeno il soggetto stesso è in grado di conoscersi?
Torniamo al nostro protagonista e ad un tema a lui caro: l’egocentrismo e le sue smisurate doti.
Fate molta attenzione, prima di tutto a non rivolgere la parola a questi sapientoni, ma soprattutto, se ci si trova immischiati in situazioni scomode, a non tirar fuori un argomento che riguardi il loro vissuto o la loro sfera personale, altrimenti è finita, si ferma lo spazio-tempo: dall’alto delle loro lauree in “tuttologia logico-espressiva dei problemi internazionali d’ogni genere” non hanno pari a confronto.
Dopo aver seguito perfettamente il corso in “televisione d’ogni giorno parte 1 e 2”, creduloni e in estasi, han maniacalmente bisogno di esprimersi su più fronti.
L’ego raggiunge livelli maniacali, sconsiderati quando, dal nulla, vengono tirati in ballo i gioielli di casa: i figli. Senza richiesta, partono elogi su elogi, riconoscimenti a questi figli cavalieri della repubblica che “non sai mio figlio quanto è bravo”.
Ci sarebbe un piccolo, minuscolo dettaglio: “Ma chi se ne fotte?!”.
Se a distanza di millenni dai primi passi evolutivi non è ancora chiaro ai più, esistono anche delle persone che non hanno bisogno, né soprattutto voglia o interesse, di sapere cosa succede all’altro, in una famiglia, né tantomeno vogliono conoscere da loro i temi socio-politici attuali.
Negli ultimissimi tempi la Pandemia è stata l’argomento di battaglia e abbiamo avuto modo di riscoprire doti in persone con altro tipo di specializzazioni.
I social, come tutto, hanno pro e contro e se utilizzati male creano dei danni, quasi irreversibili, al cervello che tramite gli occhi (insanguinati, s’intende) ha avuto disgrazia di leggere commenti e pareri di ogni tipo.
Non ci inoltriamo nemmeno nel campo di esperti teorici chiamati no-vax, molto simili ai famosi alieni e per questo non degni di considerazione; parliamo sempre di persone aliene che, aperto il proprio social di battaglia, spulciate le news fresche su qualche pagina “di spessore, vengono colte dall’infelice idea di voler esprimere un pensiero.
E no, perché non tacete? In questi momenti si ha un po’ di sana nostalgia verso la negazione della libertà di parola.
Ecco servito: abbiamo davanti a noi un esperto del settore che saprà elencarci i motivi per i quali il virus si è diffuso, si è attenuato e poi è ritornato, che, per chi non lo avesse inteso, è anche la stessa persona che ha brevettato i vaccini. All’orizzonte arriva un altro grandissimo teorico da piattaforma, collega del precedente, specializzato in “discorsi politico-sociali” e, per questo, sicuro di avere la soluzione ai famosi “problemi del governo” che, fateci caso, si susseguono gli uni uguali agli altri da millenni ed in ogni latitudine.
Nello Zarathustra Nietzscheiano vi era un largo avvertimento per nulla ascoltato dai posteri:
“Stato?
Che cos’è?
Stato si chiama il più freddo di tutti i freddi mostri.
Ed è freddo anche nel suo mentire; e dalla sua bocca striscia questa menzogna: “Io, lo Stato, sono il popolo”. Ma lo Stato mente in tutte le lingue del bene e del male; e qualunque cosa dica, mente; e qualunque cosa abbia l’ha rubata.
Tutto in esso è falso; con denti rubati morde, il mordace.
False sono persino le sue viscere.
Troppi uomini nascono: per i superflui fu inventato lo Stato!
Guardate come li attrae a sé, i troppi.
Come li fagocita e mastica e rimastica! Guardate questi superflui!
Sono sempre ammalati, vomitano la loro bile e lo chiamano giornale.
S’inghiottono a vicenda e non riescono nemmeno a digerirsi.
Allontanatevi dall’idolatria dei superflui! Fuggite dal cattivo odore!
Fuggite l’esalazione di questi sacrifici umani.
Libera è ancora oggi per le anime grandi la terra.
Vuote sono ancora molte sedi per i solitari e per coloro che sono in due nella solitudine, intorno alle quali aleggia il profumo di mari tranquilli.”
(da “Così parlò Zarathustra”, F.Nietzsche)
E noi, stolti, che abbiamo la soluzione politica a portata di mano e non ce ne siamo accorti, accidenti! Peccato che questa soluzione ce la stiano propinando proprio coloro che, si veda sopra, sono i troppi.
Non sarebbe più bello e più semplice se di fisica ne parlasse soltanto un fisico, di sport soltanto uno sportivo professionista, di politica (no, non un politico, altrimenti svelerebbe i trucchi del mestiere, facciamo che ne parla uno studioso, così rimaniamo nell’alone della speranza che esista davvero la politica) un esperto di politica, di lavorazione del legno un falegname?
Può parlare di arte soltanto un artista, che la vive 24 ore su 24, non una persona che si interessa sporadicamente di arte.
“Sutor, ne ultra crepidam!” recitava un detto latino.
“Ciabattino, non (andare) oltre le scarpe!”.
Se il tuo argomento rientra in un determinato ambito, parla di quello, sii esperto in quel settore, non andare in altri campi che non ti competono. E se ci vai, non farlo con la supponenza che è propria del saccente.
Può parlare di scuola un dirigente scolastico, di lezioni o di classe ne può parlare ampiamente un docente, che respira quell’ambiente cōtīdĭē!
Di giurisprudenza ne parli un avvocato, non un ingegnere. E viceversa.
Può parlare di medicina soltanto un medico, non di certo un, mettiamo caso, commesso che ha sentito che quel farmaco e bla bla bla o un tizio che ha subito una tale operazione e perciò si sente nella posizione di avanguardia che gli permette di scavalcare anni ed anni di studio credendo di avere il sapere, la chiave, la conoscenza.
Invece no, un infermiere si sente in diritto di parlare nel dettaglio di vaccini elargendo consigli e pareri qua e là sol perché li ha somministrati, un docente può mettersi al posto del ministro dell’istruzione bypassando un bel po’ di scalini dall’alto dei suoi 30 anni di esperienza (che va pesata, però, perché un conto è starci ed un conto è Starci dentro la scuola!), un geometra parla di argomenti che fanno parte esclusivamente del lavoro di un architetto poiché ci ha collaborato per una vita e quindi, honoris causa, è un po’ architetto anche lui.
Non si sentano colpite le categorie menzionate, si è preso solo ad esempio nel rispetto di coscienziose code di paglia facilmente infiammabili.
Esiste una metodologia didattica chiamata “Role Playing”, gioco dei ruoli, per farla semplice.
Gli alunni si devono immedesimare nel ruolo di un’altra persona, sia essa un personaggio inventato o anche un compagno, per provare emozioni e sentimenti, per mettersi nei suoi panni.
Una sorta di teatro in miniatura, nel senso religioso del termine teatro, cioè di rappresentazione, per quanto sia impossibile rappresentare ciò che un artista, un autore ha scritto su carta o ciò, in tal caso, che una persona prova.
Ecco, se tutti questi buontemponi si mettessero nei panni dell’altro (nei panni del calunniato, nei panni di chi criticano) sarebbe tutto molto più semplice.
O, ancor peggio, se potessero assistere ad un teatrante che, mettendosi al loro posto, parodiandoli, facesse loro vedere quanto sia ridicolo parlare d’altro senza essere del mestiere, senza esserne competenti, magari capirebbero qualcosa…
Ma no, non capirebbero lo stesso.
Se qualcuno crede che questi soggetti un domani la smetteranno con queste tuttologie, può darsi già per vinto poiché, come detto in apertura, è un discorso che non ha tempo e va avanti da sempre e per sempre.
L’uomo non cambia, non c’è speranza.
Anche perché tutti questi discorsi sono basati su un sentimento che ha sempre contraddistinto l’essere umano: l’invidia. L’essere umano è invidioso per natura, dal momento che, non riuscendo a raggiungere qualcosa e danneggiando così il proprio fottutissimo io, ha bisogno di screditare l’altro o di ergersi a chissà chi o che cosa, senza meriti, senza doti e senza che nessuno gli chieda alcunché, credendo, nella sua piccola testa, di aver colmato quella sua mancanza.
L’importante è lasciarglielo credere.