“Roma è la città eterna”. Non è un luogo comune, ma qualcosa di tangibile, la bellezza o “grande bellezza” di Roma si riflette negli occhi di chi la guarda. Negli occhi di tutti quelli che si fermano ad ammirare le meraviglie della città Eterna. Eppure esiste una Roma diversa, più nascosta e altrettanto incantevole, più lontana dai classici circuiti di turisti che ogni giorno riempono le strade della Capitale. Sono quei piccoli musei, scrigni di segreti nascosti di quasi 23 secoli di vita. Musei più piccoli, custodi e vasi di pandora di grandi bellezze, che soffrono un andamento ormai consolidato all’interno dell’amministrazione capitolina che vede un repentino quanto drastico allontanamento tra il centro e le periferie. In un coordinamento difficoltoso tra le varie istituzioni tutto questo si riflette nelle varie modalità di gestione dei musei. In questo scenario sempre più sfaccettato ed eterogeneo a pagarne è la cultura bistrattata a merce di consumo, ed i fruitori, i cui occhi sono sempre più rarefatti, diffidenti nel cogliere quella bellezza che hanno fatto di Roma la “Città Eterna”. Pochi infatti sanno che la Centrale Montemartini ( in Via Ostiense) è il secondo polo espositivo dei Musei Capitolini, oltre uno straordinario esempio di riconversione in sede museale di un edificio di archeologia industriale ovvero il primo impianto pubblico di Roma per la produzione di energia elettrica. La sua storia inizia nel 1997, dove due mondi opposti, quali l’archeologia e l’archeologia industriale, furono per la prima volta accostati tramite un allestimento coraggioso, nel quale lo spazio venne organizzato per mantenere l’integrità degli oggetti senza cercare di snaturare la loro forza. “Le macchine e gli dei” divenne il titolo della prima mostra, aperta al pubblico nell’ottobre del 1997.
Tra pubblici e privati a Roma si contano 171 musei. Cosa rimane oggi di questo? Perché Centrale Montemartini, pur essendo il secondo polo espositivo dei Musei Capitolini, non viene abbracciato dallo stesso numero di utenti? Oppure in una realtà così meticcia come quella Roma, in tempi che corrono sempre più veloci, va cercata una spiegazione più ampia? Fare sopravvivere i piccoli musei è un atto di insubordinazione contro lo scorrere fluido del tempo o un tentativo di rinchiudere la cultura in piramidi sterili, in idee platoniche poco concrete? Una riflessione complessa, non banale che può però poggiare su alcuni dati certi. Il Lazio rimane una delle regioni italiani con il maggiore numero di visitatori (si parla all’incirca di quasi 20 milioni di ingressi), la spiegazione della bassa affluenza a queste piccole realtà non può essere limitata ad una conservazione disaffezionata del nostro patrimonio culturale. Oggi più che mai è necessaria una riflessione consapevole sul fatto che la crisi, prima di essere economica, è innanzitutto morale e culturale.