Guardando oltre l’idea di un prodotto regalato dalla nostra antica meravigliosa madre terra, possiamo senza dubbio affermare che un calice di vino è un narratore. Paziente, perché frutto del tempo che scorre lento affinché la vigna dia i suoi frutti. Ed imprevedibile, perché soggetto al variare di una serie di combinazioni “umorali” dovute al clima, alla luce, quindi al vento, alla pioggia, alla composizione della terra. È un composto chimico-fisico, un intreccio variabile di umore e luce.
Non è semplice racchiudere in poche righe l’affascinante e variegata identità che contraddistingue lo storico “nettare degli dei”, come non è possibile -sia per i bevitori amatoriali sia per i professionisti del settore- degustare un calice e non vederci scritta una storia in costante evoluzione. Fatta di odori, tempi e luoghi lontani. Infatti, se facciamo un salto nel tempo di diecimila anni indietro, è qui che il vino comincia la sua storia, nel bacino del Mediterraneo. Per poi gradualmente estendersi in tutte le zone del mondo a clima temperato (e non). Quindi io nostro narratore è anche un eroe del tempo che resiste a quest’ultimo per tre motivi: la biodiversità varietale, la possibilità di invecchiare senza degradarsi, il trasporto facile essendo un prodotto fermentato quindi non alterabile.
Cercando di restare nel fascino della storia, perché l’emozione strettamente connessa al vino è l’allegria? La risposta più scontata sarebbe da ritrovare negli stupefacenti fumi dell’alcol. Quella meno scontata, ma anche meno folkloristica e più romantica e da ricercarsi nell’etimologia della parola “Vino” che pare derivi dal sanscrito “Venas”, cioè piacevole. Da cui deriva il latino “Venus”, Venere dea dell’amore. Inoltre, superando le credenze soggettive, la Bibbia nel Salmo 104 recita “il vino rallegra il cuore del mortale”. Senza dubbio, ci ritroviamo. Con un calice di vino alla mano, siamo felici, sorridiamo di più alla vita, condividiamo il piacere di bere con gli amici, di ridere e scherzare perché il nostro narratore ci aiuta a ricordare che per qualche ora i problemi sono di altri, ci fa vivere l’emozione e godere del momento. E la felicità, come diceva il buon Totò, è fatta di attimi di dimenticanza. Il vino è un portatore sano di emozioni, di valori antichi mai dimenticati, è un elegante e silenzioso servo della convivialità. In un epoca come la nostra, in cui la fretta è un dato di fatto e le virtù negative purtroppo contaminano il mondo, il vino rallenta e rende bello il tempo, ci regala il suo potere seduttivo, ci restituisce la bellezza della pazienza, la lentezza del fiorire, nascere, aspettare, maturare e finemente invecchiare. Narra la storia delle mani operose dell’uomo, l’odore della terra, il dolce calore del sole e L’irruenza rigeneratrice della pioggia. È un modo di amare la vita. E a tam proposito, basti pensare che solo seimila anni fa i Sumeri simboleggiavano con una foglia di vite, l’esistenza umana.
In tempi più moderni, se andiamo in Francia, il vino diventa un paradossale narratore. Si ritiene sia infatti responsabile del cosiddetto “paradosso francese”, secondo cui in Francia nonostante l’alto consumo di alimenti ricchi in grassi saturi (fatali per lo sviluppo del rischio di patologie cardiovascolari), l’incidenza di malattie cardiovascolari è più bassa al pari di paesi dieteticamente comparabili. Pare che il consumo di vino rosso, grazie ad un potente antiossidante, possa prevenire lo sviluppo di malattie cardiache. Banalmente, il vino fa buon sangue.
Provenendo da studi del settore, la definizione scientifica più statica del vino è “il prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica totale o parziale del frutto della vite.” Non é esattamente così, il vino è la pozione magica di un universo alchemico in cui le persone sono più attraenti e le idee stupide si trasformano in pazza genialità. Come non amarlo?