Il SALONE DEL LIBRO E LA CULTURA ANTIFASCISTA Perché non possiamo permetterci un nuovo Aventino

Guardando alle cronache di questi giorni viene in mente l’atteggiamento dei deputati antifascisti dopo il delitto Matteotti che abbandonarono la Camera.

Come allora vedo scrittori, editori, intellettuali voler rinunciare a presenziare al Salone del Libro  di Torino per la presenza di Altaforte, casa editrice vicina a Casapound Italia.

Questa scelta dimostra che non abbiamo imparato la lezione della storia. Neppure di quella recente.

 

Mentre CPI imperversa nelle periferie, riempiendo lo spazio lasciato incustodito dalle sinistre che al vuoto delle idee hanno fatto seguire una vacanza fisica: sezioni chiuse, spazi popolari abbandonati, centri sociali dimenticati, piazze desertificate.

 

In questo vuoto si sono insinuate quelle che Almirante all’epoca di Salò definì le uova del drago: il seme del fascismo del futuro.

Ora come allora la sinistra è impegnata nel gioco autolesionista dell’essere più o meno di sinistra di, vedi alla voce Tafazzismo.

Alle elezioni europee si presenta divisa in diversi simboletti che fanno del PD – talvolta suo malgrado – l’unico baluardo a Salvini.

 

Ritorna alla mente un vecchio proverbio africano: “Se parti chi coltiverà la tua terra?”.

Nelle lande lasciate incolte da una sinistra sempre più cedente – nella forma (estetica del purismo: quella radicale) o nella sostanza (delle proposte programmatiche: quella riformista) ai dogmi del consumismo neoliberista – la nuova destra pseudo e parafascista colonizza spazi, luoghi, comunità. E cresce nei consensi.

 

Franco Cassano ne “L’umiltà del male” mostrava come il male è più vicino del bene agli ultimi perché capace di parlarne alle debolezze. Anche se questa visione dualistica non risolve la complessità del nostro tempo, spiega bene la difficoltà di chi,  salito su piedistalli di ogni specie (anche mediatica), non è più capace di intercettare i bisogni delle persone comuni.

Troppo attenta al mercato e alle reti digitali ha perduto la connessione sentimentale col suo popolo. O forse ha perduto tempo nelle definizioni, mentre il mondo andava avanti.

 

Per ritrovare la strada del cammino è necessario ritornare nei propri luoghi: fabbrica, scuola, università, periferia, strada. Tornarci con un’idea semplice e comprensibile, aggiornata alle esigenze e allo spirito del tempo.

Per riconquistare l’egemonia perduta. E soprattutto per riprendersi il ruolo che la storia le assegna: quello di guida di chi da solo non ce la fa.

A cominciare dai luoghi della cultura, dove chi bruciava libri e giornali, si sente – già per sua natura – fuori posto.

 

Il nostro nemico non è la ricchezza ma la povertà: sconfiggendola non ci sarà spazio per nuovi uomini della provvidenza.

A futura memoria.