Non esiste forse altra opera così soggetta alla facoltà trasformatrice delle diverse interpretazioni.
Massimo Mila, Lettura del Don Giovanni di Mozart
Prepararsi per andare al teatro e ascoltare un’Opera lirica non significa solo indossare un abito elegante. Oggi la ricezione uditiva e la percezione visiva dei melodrammi racchiudono in sé e per sé un’esperienza estremamente complessa per il pubblico: il teatro tutto cantato trascina con sé diversi canoni linguistici e mentali apparentemente lontani da una forma mentis contemporanea. Senz’altro questa “distanza” permette agli ascoltatori e alle ascoltatrici di scegliere in base ai propri gusti di ascoltare un pezzo piuttosto che un altro e di spogliare l’arte nei suoi aspetti ludici, sociali, fascinosi, commuoventi. L’opera in musica, però, non è più assimilabile alla sola fruizione estetica riservata ai soli diletti spiriti, infatti il miracolo operistico secondo Gilles de Van è soprattutto quello di rendere visibile lo straordinario, attraverso il canto e la musica, dappertutto. Non esiste solo il virtuosismo o il belcanto nelle prime stagioni d’opera, ma innumerevoli qualità, intensità e commozioni tramandate nei secoli. Nei repertori le convenzioni teatrali non sono svuotate di senso a priori, come si potrebbe pensare, nel loro intrecciarsi a delle storie ormai datate e superate. Anzi, l’utilizzo di una convenzione riconosciuta è un «gioco fra ciò che è prevedibile e ciò che è inatteso»[1] lasciando all’ascoltatore il tempo di rivivere le sensazioni interiori– l’introspezione- stimolando a sua volta l’immedesimazione. Infatti ciò che conta è l’utilizzo delle convenzioni da parte dei compositori, se siano utili o meno, parallelamente lo stesso dibattito esiste sull’uso salutare o nocivo delle tecnologie e dei social. Se il teatro lirico ha il doppio compito, riprendendo le tesi di Carl Dahlhaus su Vincenzo Bellini, di toccare i cuori e sedurre l’occhio, allora studiarne a fondo la sua enigmaticità equivale alla sua stessa rinascita. Nell’attesa trepidante del Don Giovanni presso il Teatro Petruzzelli a Bari dal 10 al 16 settembre 2021 possiamo comprendere meglio la genialità di un uomo come Mozart, inafferrabile e incredibilmente unico. Nativo di Salisburgo, compose più di 600 opere fra cui 22 opere liriche, 23 concerti per pianoforte e 41 sinfonie. Fin dall’infanzia fu un bambino prodigio, a cinque anni scrisse le sue prime composizioni musicali (a nove il Va dal furor portata K21 di metastasiana memoria) e il padre Leopold Mozart, noto musicista alla corte del principe-arcivescovo della città, accompagnò suo figlio e la sorella Maria Anna in giro per tournée di concerti a Monaco, a Vienna presso il palazzo dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo, a Parigi davanti al re di Francia Luigi XV, a Londra e così via alla ricerca trepidante del patrocinio imperiale. In Italia il prodigio Mozart ebbe il suo primo trionfo all’accademia musicale di Bologna, a Roma il papa lo nominò cavalier del Toson d’Oro e a Milano fu rappresentata la sua opera lirica scritta in italiano (non aveva ancora quindici anni) Mitridate re di Ponto (1770, replicata 21 volte). Maestro di concerti nelle corti reali e ambito dai più disparati mecenatismi del tempo, Mozart possedeva uno spirito indipendente – e intraprendente – che comportò sfortune amorose e economiche, non solo fama e dedizione. Non fu facile seguire la creatività in contesti vincolati dalle politiche dell’ancien régime e delle committenze. Dopo il successo della sua più importante opera seria l’Idomeneo a Monaco nel 1781 e l’anno dopo del Singspiel Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) a Vienna patrocinato dall‘ imperatore Giuseppe II, Mozart collaborò con il celebre poeta italiano Lorenzo da Ponte (1749-1838) per le sue opere buffe: Le nozze di Figaro (1786), il dramma giocoso Don Giovanni (1787, la sua prima al teatro degli Stati di Praga) di cui musica era troppo difficile per i cantanti secondo l‘imperatore Giuseppe e troppo complicata dal punto di vista strumentale secondo Giovanni Paisiello, e Così fan tutte (1790). L’opera buffa dagli anni ‘60 del Settecento iniziava con un litigio (es. Il Socrate immaginario di Paisiello), la presenza dei cori come «collettività» di gente umile, partecipativa delle azioni sceniche e i «pertichini» cioè personaggi che cantano poche battute insieme all’aria principale. Il dramma diventò più «estroflesso» e non solo esibizione di azioni interiori, i recitativi quasi sempre accompagnati e l’orchestra si ampliò. Nelle opere buffe Mozart trattava di problemi legati alla quotidianità, ad esempio i rapporti tra sessi, tra le classi sociali, tra mariti e mogli etc., e alla possibilità di studiarne il loro vissuto psicologico attraverso la musica, retaggio di una tradizione goldoniana introspettiva non indifferente. La «classicità» si perfezionò nella forma, ma nel contenuto certe tendenze anticipavano modelli romantici. Questo accadeva in un clima dove «la sensibilità preromantica e il favore che i palcoscenici europei dal 1770 in poi accordarono a una sorta di patetismo macabro»[2] erano in pieno fervore. Il Don Giovanni, in particolare, è un’opera divisa in due atti sull’incapacità di amare, sull’Eros che consuma e logora se stesso, un tema che sarà centrale dal Romanticismo ottocentesco in poi.
Dal punto di vista librettistico la figura del Don Giovanni è conosciuto come il libertino amorale in preda a lussuria, incontinenza sessuale, superbia e inaffidabilità. Non c’è perdono quindi manca l’aspettato happy ending perché le vittime rimangono inermi e l’antieroe viene punito in modo legittimo al pari dei gironi infernali danteschi. Il personaggio mozartiano è l’opposto del Falstaff di Giuseppe Verdi sul trionfo del peccato e del Faust di Goethe sull’amore per una donna. Tuttavia Don Giovanni si avvicina, nell’amoreggiare le donne con spavalderia e tossica mascolinità, al Duca di Mantova del Rigoletto verdiano. Non c’è derisione tipico del giocoso, ma il senso ludico delle apparenze. L’infedeltà del protagonista non è un capriccio, come altri personaggi dell’opera buffa settecentesca, perché il suo modus operandi si nutre di vitalità. Dal punto di vista musicale Mozart non ha una visione manichea di bene e di male, per cui il castigo finale non possiede un intento moralizzante. La dicitura di “dramma giocoso” rimanda alla coesistenza di elementi tragici e buffi, tra aspetti comici e aspetti seri, tra un Cimarosa e un Paisiello uniti dalla Weltanschauung – visione del mondo – di Gluck. La musica mozartiana è nel mezzo di un gioco in cui maschere e realtà si mescolano. Non è un caso l’amore del compositore per le feste di Carnevale, ovvero il travestimento tout court. La trama del I atto incomincia con il servo Leporello che attende in giardino il suo padrone Don Giovanni impegnato ad attrarre a sé amorevolmente Donna Anna con volto mascherato. La donna si accorge dell’inganno e che quell’uomo non è il suo fidanzato Don Ottavio, quindi cerca di allontanare il nobiluomo. Entra in scena il padre di Anna furibondo, il Commendatore, che sfida a duello Don Giovanni, ma viene sconfitto e muore. Leporello nascosto e spaventato per l’uccisione avvenuta fugge assieme al padrone assassino, mentre Donna Anna scopre il cadavere del padre e sviene sofferente. Subito dopo l’aiuto del suo compagno Don Ottavio che promette alla donna di vendicare la morte del suocero. In tutto questo Don Giovanni e Leporello vanno in giro e trovano una donna sola, la dama Donna Elvira, colei che era stata già conquistata e abbandonata dal seduttore. Don Giovanni riesce a svincolarsi, lasciando al servo il compito di fermare l’ira di Donna Elvira, ormai offesa e disincantata quando in un secondo momento scopre la “natura” seduttrice dell’uomo amato attraverso un “catalogo”: l’aria di Leporello “Madamina, il catalogo è questo” (I, 5). Donna Elvira, nonostante la cruda realtà, decide di ricercare Don Giovanni ma l’uomo e il suo servo, invece, fuggiti da lei s’imbattono in un gruppo di contadini e contadine in festa per le nozze di Zerlina e Masetto. Anche alla neo sposa Zerlina sarà destinata la stessa sorte, tra le braccia di un amore falso cantato dal Don Giovanni nel duettino “Là ci darem la mano” (I, 9). Dopo le avances non manca il bluff perché l’unico interesse del seduttore è l’attrazione fisica e non l’eternità di una promessa amorosa. Tuttavia, il cedimento di Zerlina viene interrotto dall’arrivo di Donna Elvira, rivelatrice delle infamie e delle burle costruite ad hoc dal libertino, che la porta via con sé e nello stesso tempo appaiono i coniugi Donna Anna e Don Ottavio intenzionati a chiedere informazioni sul Commendatore proprio a Don Giovanni, ignari della sua colpevolezza. Ascoltando le richieste della coppia Donna Elvira si intromette e consiglia a Donna Anna di non credere alle menzogne del seduttore-assassino “perfido” e lui risponde all’accusa nel quartetto “La povera ragazza è pazza amici miei” (I, 12). Il dubbio si è ormai insinuato e Donna Anna riconosce la voce dell’uccisore del padre: “Gli ultimi accenti che l’empio proferì, tutta la voce richiamar nel cor mio di quell’indegno che nel mio appartamento…”(I, 13), racconta la vicenda al fidanzato, sconvolto. Imperterrito Don Giovanni organizza una gran festa in onore del matrimonio di Zerlina per invitarla al ballo e sedurla un’altra volta. Donna Anna, Don Ottavio e Donna Elvira decidono di partecipare alla festa mascherati per arrestare il donnaiolo, all’oscuro di essere stato scoperto. Al ballo Leporello distrae Masetto e Don Giovanni, violento, vuole la donna che grida aiuto ed esce dalla stanza. Proprio nell’attimo in cui il seduttore tenta di giustificarsi incolpando Leporello dell’accaduto che Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio gettano le maschere e accusano l’uomo davanti a tutti i paesani nell’intento di arrestarlo. Però, Don Giovanni e Leporello riescono a fuggire, alternandosi il gioco padrone “E’ confusa la mia testa” e servo “E’ confusa la sua testa” (I, 20).
Il secondo atto si apre con Don Giovanni e Leporello che discutono di fronte la casa di Donna Elvira perché il servo, dopo essere stato accusato ingiustamente dal suo padrone, vuole allontanarsi da lui ma viene corrotto con una proposta di soldi. In cambio Don Giovanni ordina uno scambio di abiti con Leporello così da distrarre Donna Elvira e continuare il corteggiamento rivolto questa volta alla sua cameriera. Donna Elvira si affaccia alla finestra cantando all’uomo che crede sia Don Giovanni pentito e non Leporello travestito “Ah! taci, ingiusto core, non palpitarmi in seno” (II, 2). Nel frattempo Don Giovanni in veste di Leporello intona una canzonetta sotto la finestra della cameriera “Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro” (II, 3) mentre Masetto con contadini e contadine armati è alla ricerca di lui per ucciderlo. Il travestimento protegge l’identità del seduttore che riesce ad allontanare tutti e tutte prendendo a botte Masetto; Zerlina solo dopo soccorre il marito e giura vendetta nei confronti di Leporello-Don Giovanni. Il vero Leporello ancora nelle vesti del padrone non sa come uscire dalla situazione amorosa con Donna Elvira e all’improvviso arrivano Donna Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto con l’intenzione di inseguire il libertino per arrestarlo. Ma il servo travestito rivela la sua vera identità. La rivelazione non fermerà l’ira di Zerlina, Donna Elvira e dei coniugi, e a Leporello non resta altro che la fuga. Don Ottavio si presenta come il giustiziere in difesa dei suoi amici, invece Zerlina vuole uccidere Leporello che ancora una volta riesce a fuggire. Masetto poi fermerà l’inseguimento di Zerlina e Donna Elvira verso Leporello svelando l’innocenza del servo dato il travestimento di Don Giovanni. Tutti alla ricerca del mascalzone amato e odiato dall’addolorata Donna Elvira, da sola sfoga il suo cuore spezzato nell’aria “Mi tradì quell’alma ingrata” (II, 14). Di notte, nel cimitero con diverse statue equestri fra cui quella del Commendatore, Don Giovanni aspetta Leporello e parlano di tutto l’accaduto. Una voce cupa e funesta interrompe il loro dialogo, proveniente proprio dalla statua funebre del Commendatore. Il servo impaurito si nasconde sotto la panchina, invece Don Giovanni non ha paura di nulla tanto da invitare, sorridente da atteggiamenti un po’ burleschi, a cena la statua. Al palazzo del Commendatore Don Ottavio chiede a Donna Anna di sposarlo e lei gli dice che lo ama tuttavia è ancora addolorata per il lutto del padre, un dolore che svanirà solo se giustizia sarà fatta sul suo assassino Don Giovanni. La cena è pronta, i musicisti intorno pure, ed è servita a tavola accompagnata da alcuni brani delle opere: Una cosa rara di Vicente Martín y Soler, Fra i due litiganti il terzo gode di Giuseppe Sarti e infine l’autocitazione mozartiana Le nozze di Figaro, o meglio l’aria di Figaro Non più andrai farfallone amoroso “Già la mensa è preparata” (II, 17). Donna Elvira di nuovo si scontra con Don Giovanni chiedendogli con insistenza di pentirsi…lui la caccia via e lei esce di scena gridando terrorizzata. In seguito anche Leporello spaventato, alla porta si c’è la statua del Commendatore. Don Giovanni non ha paura, non ha timore, la statua ricambia l’invito a cena e porge la mano di pietra: Don Giovanni stringe la mano della statua e d’un tratto si sente pietrificato. Pur sapendo di correre un rischio alla sua incolumità, non sentirà dentro di sé alcun pentimento, chiesto più volte dalla statua. Il furioso Commentatore non viene accontentato, scompare tra nubi oscure e fiamme, terremoti, demoni e diavoli fuoriescono per portare Don Giovanni all’inferno.
Il seduttore tenta di svincolarsi dal suo destino, sente l’anima lacerarsi e non ultimo il temuto terrore, ma viene trascinato giù negli inferi. Infine tutti i personaggi vengono a sapere da Leporello la fine del suo padrone, allora Don Ottavio chiede di nuovo a Donna Anna se è pronta per sposarlo ma il suo cuore è ancora addolorato, Masetto e Zerlina vanno a cena, Donna Elvira sceglie il convento a causa del suo amore eterno perduto e Leporello si incammina fino ad un’osteria in cerca di un nuovo padrone. Dopo il concertato finale “Questo è il fin di chi fa mal!” (II, 18) tutti si allontanano in direzioni differenti. Incredibilmente interessante è la capacità della musica mozartiana di evocare erotismi dentro di sé, rivitalizzare le coscienze, beninteso le note possono essere paragonate a delle vere e proprie “zone erogene” dei sensi.
Commentano Ballola e Parenti che il Don Giovanni è una «fiamma di vitalità trasgressiva che incendia e piega tutto ciò che incontra sulla propria strada»[3] , perde la scommessa con la vita e con la morte, viene punito dal Cielo ma non c’è la redenzione o la trasfigurazione come accade invece al Faust. Il topos settecentesco del libertinismo viene rappresentato in senso pragmatico e dissoluto, dal canto cromatico solo quando il protagonista mente e non è se stesso. E’ la potenza della musica a squarciare il velo di Maya schopenhaueriano, essa irrompe nel gioco delle apparenze. Rossini e Verdi, fans assoluti dell’opera Don Giovanni, occultano il reale – apparentemente ambiguo tra serietà e giocosità – al fine di svelarne la vera natura come fa Mozart (Tutto nel mondo è burla!). Tammaro scrive: «Ovviamente, come si sa, non mancano passi in cui Mozart ci fa quasi toccare con mano la fisicità di questo sensualismo, ma egli assume tale fisicità solo come un abito. La sensualità non è nel pensiero che ha dato vita alla musica di Mozart, perché la vicenda erotica di Don Giovanni è solo un involucro, un pretesto e si sente la necessità di sottrarla a quello che Mila chiama «il piccolo cabotaggio della sessualità e dell’erotismo» per porla se mai in relazione, così come sarebbe piaciuto ai Romantici, con il problema assai più vasto del rapporto con l’Assoluto»[4]. C’è da aggiungere che l’invocazione ad una volontà divina non allude tanto all’approccio fideistico di Mozart sulla storia quanto «a una concezione del sovrannaturale, in senso alchemico e massonico, come matrice del ciclo ininterrotto che alterna la vita, morte e rinascita»[5]. Allora si potrebbe interpretare l’opera come un fascio di intermittenze, al di là del bene e del male, segnate da vie solitarie[6] e da un Eros portavoce di una seduzione spietata «oltre la muraglia dell’inesplicabile»[7]. Søren Kierkegaard in epoca romantica ottocentesca additerà nel Don Giovanni, secondo il parere di Riccardo Martinelli, la perfetta fusione sensuale di forma e materia nella musica, non sempre demoniaca. Il filosofo danese riconoscerà di non possedere un orecchio tecnico e il suo ascolto vacilla, come in Donna Elvira, tra l’erotico e il logoramento nell’animo «dinanzi all’incantesimo musicale»[8] perché «come l’occhio in questo lampo percepisce l’incendio, così l’orecchio in quel colpo d’archetto morente intuisce l’intero ardore»[9]. La filosofia può solo danzare sulla soglia del precipizio estatico mozartiano ma tocca a noi spingerci verso l’abisso più profondo della sua luce.
[1] Gilles de Van, L’opera italiana. La produzione, l’estetica, i capolavori, Carocci editore, Roma, 2012, pag. 44.
[2] Lorenzo Mattei, Musica e dramma nel “Dramma per musica”, Progedit, Bari, 2012, pag. 46.
[3] Giovanni Carli Ballola, Roberto Parenti, Mozart, Rusconi, Milano, 1990, pag. 687.
[4] Ferruccio Tammaro, Io, Don Giovanni. Mozart in maschera, ed. il capitello, Torino, 2015, pag. 34.
[5] Leonetta Bentivoglio, Lidia Bramani, E Susanna non vien. Amore e sesso in Mozart, Feltrinelli, Milano, 2019, pag. 189.
[6] Søren Kierkegaard, Silhouettes, il melangolo, Genova, 2020, pag. 79.
[7] Andrea Panzavolta, La promessa delle sirene. Filosofia dell’opera lirica, ed. Inschibboleth, Roma, 2019, pag. 151.
[8] Riccardo Martinelli, I filosofi e la musica, Il Mulino, Bologna, 2012, pag. 119.
[9] Scritti kierkegaardiani estrapolati da Romanticismo e musica. L’estetica musicale da Kant a Nietzsche, EDT, Torino, 1981, pag. 233.