L’esigenza del pensiero critico, nel momento di massimo appiattimento culturale nel Paese, deve trovare spazi di espressione nuovi.
Canali di comunicazione non considerati in precedenza.
Il web 2.0 ha generato una produzione prolissa e non richiesta di opinioni.
Attraverso i social network si è affermata una visione binaria, quasi infantile: mi piace non mi piace.
Nella maggior parte dei casi esiste solo il tasto like, di rado il dislike.
Ma un clic non esprime nessuna profondità di giudizio per cui questo si ferma a livello di superficie. Si può dire che la superficialità, non solo di giudizio, si sia elevata a mantra contemporaneo. I commenti sotto una foto, un articolo, un post sono sempre più di natura istintuale, una sorta di reazione immediata e immeditata. La velocità della medialità che si fonda sul just in time, una sorta di inesorabile hic et nunc, lascia poco campo alla riflessione elaborata e critica, sedimentata e cosciente.
Nel mercato del web si deve vendere un prodotto immediatamente, subito, al più presto e con grandi ricavi istantanei.
Il web, tuttavia, come ogni strumento è neutro e dipende dall’uso che se ne fa.
Un uso etico, non morale o moralista di questo, corrisponde ad attuare pratiche in controtendenza con la doxa dominante, non ponendosi al di sopra di essa, ma accanto come alternativa esperibile e concreta. Per riaprire una dialettica chiusa da quella scelta binaria e ponendo in luce le possibili sfumature.
Non ci sono solo altezza e larghezza, c’è lo spessore. La terza dimensione.
La società senza spessore come da tempo vado nominando questa società dell’immediato e delle certificazioni esterne, che non raccontano nulla delle esperienze, si fonda sul principio del mercato: i titoli, si acquistano a caro o scarso prezzo, ma sono simili alle etichette che si appongono sui prodotti: non raccontano nulla di essi che sia corroborato della natura della cosa/persona. Descrivono la superficie senza entrare in profondità, come un Curriculum vitae.
Sono descrittive cioè di ciò che si è fatto, non del come.
Se un curriculum non piace al valutatore spesso viene scartato a priori. Se piace si fa il colloquio, sennò neppure si risponde. Il processo di liking applicato alla vita reale segue la stessa logica dei social network. Come un prodotto: se mi piace lo compro, se non mi piace lo lascio nel suo scaffale. Non è detto che sia peggiore, magari può essere meglio di quello scelto. Ma se ci si ferma all’etichetta, alla descrizione, non lo si saprà mai.
C’è bisogno di anticorpi che reagiscano a questa logica e ci rendano immuni dalle narrazioni ridondanti. Se si ha una visione: della vita, come della società si può imparare a scegliere senza soffermarsi alle prime impressioni.
Perché sovente come cantava Piero Pelù qualche anno fa: “Niente di ciò che sembra è come appare”.
Questa rubrica è aperta pure a contributi e riflessioni di autori che pur non essendo parte organica del progetto sono affini alla mission e al modus operandi di Segno Particolare.
Riflessioni più lunghe e articolate rispetto alle altre rubriche, per stimolare la riflessione critica e generare nuove visioni possibili.
Lo spessore come rimedio all’appiattimento. Comincia adesso.