La quarantena non è facile per nessuno.
Bella verità. Non starò qui a entrare nel merito del premio “best quarantine ever”, sono consapevole dell’esistenza di famiglie complicate, disfunzionali, problematiche (ciao Papà).
Però fidatevi quando vi dico che condividere uno spazio comune con due sudamericani che dello stereotipo dell’”hombre latino” non hanno nulla non è una passeggiata di salute.
ES, IO e SUPER IO
Questi sono i tre modelli di personalità immaginati da Freud.
In questo trittico abbiamo l’Es che rappresenta la parte istintiva: vuole, desidera, pretende. Non ci sono mezze misure o ragionamenti, l’Es è egoista e istintivo.
Poi c’è il Super Io, la parte moralizzatrice e giudicante: combatte sempre contro l’Es nel perseguire i suoi ideali di perfezione e virtù, sempre volto al giudizio e alla condanna di ciò che può essere sbagliato e disdicevole.
E alla fine, tra questi due blocchi contrapposti che si scontrano generando tensioni e disagi, ci sono IO.
No, non ho sbagliato a scrivere. IO sono l’IO.
In questo preciso momento storico, Io sono quella che deve mitigare le tensioni tra una specie di adolescente in costante balia dei propri istinti e umori, e un professore presuntuoso e ipercritico convinto di non commettere mai errori.
Io sono quella che a volte rimane seduta in un angolo della hall, circondata da cuscini vintage, a dondolarsi piangendo chiedendosi dove e quando esattamente ha sbagliato.
Per darvi un’idea vi descrivo quella che è la mia giornata tipo con questi due casi da manuale:
– Alle 07.30 vengo svegliata da Es, che non vuole assolutamente perdersi neanche un minuto della sua fantastica giornata super produttiva e ha bisogno di una persona rassicurante e che gli piaccia ad accompagnarlo in questa malata routine per “non cedere alla pazzia” cit. Quella persona sono io, manco a dirlo.
– Alle 08.00, dopo tre sveglie e quattro reclami, arrivo in cucina sbiascicando il mio bisogno di caffè, ma lui manco per l’anticamera del cervello ha messo su la MOKA. Senza scusarsi mi dice che lui non beve il caffè, perché infondo non ne ha bisogno avendo già una carica esplosiva motivante che farebbe invidia a una molotov lanciata sulla famiglia Romanov nella steppa siberiana.
– Alle 09.30 abbiamo già finito la colazione (cioè, io la mia l’ho preparata e consumata da un pezzo trattandosi o di cereali al cioccolato sottomarca o di pane tostato e affettati senza pretese) ma lui si è cucinato l’avena in padella con le pesche sciroppate, uova all’occhio di bue, tre burritos con formaggio e broccoli, il tutto continuando a parlarmi imperterrito dei suoi programmi, di come sta sua zia, del collega di corso che manda audio deficienti e di quanto sia contento di aver ripreso i contatti con questa ragazza che ha conosciuto quando aveva 15 anni e che aveva perso di vista ma ora grazie alla tecnologia loro sì che possono ritrovare l’amore vero e riprendere a frequentarsi esattamente a dove erano rimasti 12 anni fa: con gli ormoni a palla parlando di minchiate.
– Alle 11:00 l’ennesima discussione su “cosa voglia dire davvero avere una relazione” nella quale mi sento dire che io dovrei capire cosa voglio dal mio “idealizzato e poco realistico” rapporto che dura da 7 anni, detto da un belloccio di 26 anni con alle spalle l’esperienza di due storielle stagionali andate a male e la consapevolezza ferrea di aver rincotrato l’amore della sua vita a distanza. NB le manovre di avvicinamento marpione e di flirting che attua quotidianamente nei miei confronti non fanno testo. Ovvio.
– Alle 11:30 fa il suo ingresso trionfale in sala Super-io, che dopo la sua sessione quotidiana di Yoga è pronto a preparare una fantastica colazione/pranzo (ancora non si è capito come definirla) con verdure, hummus, soia, tofu, prezzemolo, melanzane, zucchine e tutto l’armamentario vegetale che saprebbe sfoderare Nonna Papera.
-Alle 13:00 mi ha già ripetuto che la mia dieta fa schifo, è una pena, non è sana e se mi coglierà il coronavirus morirò perché il mio sistema immunitario per lui è come la mia nazione: fallace e inconsistente.
–Alle 15:00 ci facciamo un caffè insieme, lui sbuffa ripetendomi quanto io sbagli ad ascoltare Es, che è evidente che non è corretto né spontaneo e che si muove solo per interesse proprio e no, non c’è niente di umano da salvare in uno che mangia burritos alle 07.00 del mattino. Ma evidentemente io non lo capisco perché sono troppo stupida.
– Alle 16:00 ecco arrivare la mia solita crisi di identità: sono stanca, svogliata, non capisco perché le cose siano andate cosi, mi chiedo perché la vita mi rida sempre in faccia ogni volta decida di panificare qualcosa, mi deprimo e non riesco a focalizzarmi su nulla di produttivo.
– Alle 16:30 Super-Io mi guarda con supponenza intimandomi di smettere di cazzeggiare e di fare qualcosa di produttivo santo cielo, sennò già mangio male, vivo male, penso male e se continuo così morirò qua da sola con la cellulite e senza aver mai ancora visto la Sagrada Familia all’interno.
– Alle 17:00 accendo il pc e faccio l’unica cosa sensata che ho sempre fatto con naturalezza, ciò che mi tira fuori dalla disperazione dell’incertezza di questi tempi infami: scrivere.
– Alle 21:30 ho scritto due articoli sulla quarantena, uno semiserio e un altro ironico. Ho letto un paio di ricerche su dati statistici e numeri reali delle infezioni. Ho stilato la lista della spesa di domani scendendo a patti con l’ansia del contagio e la paranoia che la gente mi vomiterà addosso vedendo che non ho mascherina (d’altronde adesso sono terminate).
– Alle 23:00 ho messo a tacere la fame con un panino, leggo un articolo sulla socialità forzata e rischi di stress psicologico, spengo il pc e prendo il libro che sto leggendo: “mi dicevano che ero troppo sensibile”. Un saggio auto ironico che spiega le mille declinazioni della sensibilità viste anche da un approccio scientifico.
Salgo sul mio letto, mi sistemo sotto le coperte e spengo la luce.
In sotto fondo solo “show must go on” dei Queen che rimbomba nelle cuffie del mio smartphone.